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Ippolito Caffi | Carnival night in via del Corso in Rome, 1845-1847


The origins of carnival date back to the Roman Saturnalia, festivities and Religious ancient Rome characterized by public amusements, orgiastic rites, sacrifices, dances and the presence of masks.
The Roman Carnival has however its maximum explosion, in the Middle Ages, after the election of Pope Paul II, who, after the transfer of the papal residence at Palazzo Venezia, concentrated in the historic center and particularly in Via Lata (now the Via del Corso), most of the carnival festivities.
The main form of the Roman carnival was Rugantino, but there were also various Norcini, Aquilani and Meo Patacca and General Damn.







Notte di Carnevale in via del Corso a Roma. - I Moccoletti

Ho terminato un quadro da esporre qui all’Accademia, e rappresenta una festa popolare notturna, così detta “L’ultima ora del Carnovale a Roma”. Il quadro è illuminato dalla luna nella parte superiore delle fabbriche; di sotto un numero infinito di mòccoli, torce a vento, palloni di carta colorita e tutto ciò di altro che può far luce.
La quantità di maschere in carrozza, a piedi e sulle finestre son quelle che compongono la maggior parte della composizione; il misculio, il moto, il fracasso, la vita del quadro e il veder tutti affaccendati a smorzar moccoli e tutti attenti ad accenderli amichevolmente.
Le case sono tutte piene di tappeti e le carrozze e carri trionfali son tutti adornati ad uso di un baccanale. Sentiremo cosa dirà il pubblico”. - Così Ippolito Caffi scriveva in una lettera all’amico bellunese Antonio Tessari, 14 agosto 1837. E ci consegna la più viva, sentita e spontanea descrizione di un tema da lui realizzato che fu tra i più apprezzati e amati dal suo pubblico. Egli stesso si domanda che cosa ne penserà, questo pubblico, di un soggetto così bizzarro, caotico, “bacchico” come giustamente egli stesso rileva.
Il pubblico se ne innamorò, con un entusiasmo che non conobbe sosta: “…le da me tante volte ritratte scene dei moccoletti” scriveva già dieci anni dopo, il 1 maggio 1847, lo stesso Ippolito; e Théophile Gautier, ammirandone una versione in mostra all’Esposizione Universale di Parigi, nel 1855, aggiungeva estasiato: “Le carneval de Rome fourmille, babille, et scintille aux lueurs de cent mille moccoletti”.
Il “Carnovale di Roma” del 1837 fu la prima, grande affermazione di Ippolito, codificata dalle continue, successive richieste di nuove versioni similari.
Il suo “primo vero e grande trionfo”, come scrisse il bisnipote Giuseppe Avon Caffi.  E’ più che probabile che questo prototipo sia da identificare con il n.1809 della Galleria d’Arte Moderna di Ca’Pesaro, proveniente, come tutto il “tesoro caffiano” veneziano, dalla raccolta personale dell’artista donata interamente alla città di Venezia dalla vedova Virginia Missana con lascito del 1889.
Nella realizzazione poi delle successive versioni si rivela tutto il talento inventivo di Caffi: non una infatti di quelle esistenti si mostra uguale ad un’altra; ciascuna reca in sé un racconto sempre nuovo, fatto di personaggi e movenze, di costumi e luci, di palazzi, portici, finestre, il cui punto di ripresa ne muta di volta in volta l’angolatura e la percezione.
Rivedo, dopo più di dieci anni, questa affascinante versione che già ebbi modo di commentare in passato: vi ritrovo quel profumo “di baldorie baccanalesche, in turbe di popolo festeggiante”, quell’allegria liberatoria, quella miscela esplosiva di colori e luci che con tanta maestria Caffi sapeva tradurre con materia e pennello. Essa si avvicina, per tipologia e composizione, a quella, tanto ammirata dalla Pittaluga, già nella collezione veneziana Treves de’Bonfili, a tempera e di minori dimensioni, di cui ha analoga leggiadria ed eleganza.
Quanto alla datazione dell’opera, propenderei a collocarla nel quinto decennio del secolo, intorno al 1845-47, prima dell’avventura risorgimentale che coinvolse così prepotentemente, e con tanta passione, l’artista, segnando tra l’altro il suo destino nel decennio successivo, fatto di esilio e di spostamenti continui.
Realizzare quadri di “spettacolo” lo affascinò sempre, stimolò sempre la sua fantasia: da questi scintillanti “moccoletti” al “Volo in pallone”, dalla visione di “Neve e nebbia in Canal Grande” al Campanile di San Marco avvolto dalla nebbia e illuminato dalla luna, dai “Fuochi di bengala a Castel Sant’Angelo” al “Colosseo illuminato dai fuochi”…, non vi è soggetto di questo tipo dove egli non riesca a cogliere, e tradurre, l’attrattiva sottile del fenomeno, naturale o artificiale che sia.
Tra tutti, i “Moccoletti” mantengono sempre il loro fascino spontaneo, quasi di risata fanciullesca, il loro tripudio di luci e di ombre, tra bagliori improvvisi e seducenti lampi di colore. | Annalisa Scarpa