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Leonardo da Vinci | Dell'imitare pittori

Trattato della Pittura - Parte seconda | Capitoli 54-78


Indice
54. Del giudizio del pittore.
55. Discorso de' precetti del pittore.
56. Precetto del pittore.
57. Precetti del pittore.
58. Dell'essere universale nelle sue opere.
59. Precetto.
60. Precetti del pittore.
61. Precetto intorno al disegno dello schizzare storie e figure.
62. Dell'operatore della pittura e suoi precetti.
63. Modo d'aumentare e destare l'ingegno a varie invenzioni.
64. Dello studiare insino quando ti desti, o innanzi tu ti dormenti nel letto allo scuro.


65. Piacere del pittore.
66. De' giuochi che debbono fare i disegnatori.
67. Che si deve prima imparare la diligenza che la presta pratica.
68. S'egli è meglio disegnare in compagnia o no.
69. Modo di bene imparare a mente.
70. Come il pittore non è laudabile s'egli non è universale.
71. Della trista suasione di quelli che falsamente si fanno chiamare pittori.
72. Come il pittore dev'esser vago di udire, nel fare dell'opera, il giudizio di ognuno.
73. Come nelle opere d'importanza l'uomo non si deve mai fidare tanto nella sua memoria, che non degni ritrarre dal naturale.
74. Di quelli che biasimano chi disegna alle feste, e che investiga le opere di Dio.
75. Delle varietà delle figure.
76. Dell'essere universale.
77. Dell'errore di quelli che usano la pratica senza la scienza.
78. Dell'imitare pittori.

54. Del giudizio del pittore.

Tristo è quel maestro del quale l'opera avanza il giudizio suo. E quello si drizza alla perfezione dell'arte, del quale l'opera è superata dal giudizio.

55. Discorso de' precetti del pittore.

Io ho veduto universalmente a tutti quelli che fan professione di ritrarre volti al naturale, che quel che fa piú somigliare è piú tristo componitore d'istorie che nessun altro pittore. E questo nasce perché quel che fa meglio una cosa gli è manifesto che la natura lo ha piú disposto a quella tal cosa che ad un'altra e per questo n'ha avuto piú amore, ed il maggior amore lo ha fatto piú diligente; e tutto l'amore ch'è posto a una parte manca al tutto, perché s'è unito tutto il suo diletto in quella cosa sola, abbandonando l'universale pel particolare.
Essendo la potenza di tale ingegno ridotta in poco spazio, non ha potenza nella dilatazione, e fa questo ingegno a similitudine dello specchio concavo, il quale pigliando i raggi del sole, quando riflette essa quantità di raggi in maggiore somma di dilatazione, li rifletterà con piú tepida caldezza, e quando esso le riflette tutti in minore luogo, allora tali raggi sono d'immensa caldezza, ma adopera in poco luogo.
Tal fanno questi tali pittori non amando altra parte della pittura che il solo viso dell'uomo; e peggio è che non conoscono altra parte nell'arte di che essi facciano stima, o che abbiano giudizio, e le loro cose essendo senza movimento, per essere ancora loro pigri e di poco moto, biasimano quella cosa che ha i movimenti maggiori e piú pronti di quelli che sono fatti da lui; dicendo quelli parere spiritati e maestri di moresche. Vero è che si deve osservare il decoro, cioè che i movimenti sieno annunziatori del moto dell'animo del motore, cioè se si ha a figurare uno ch'abbia a dimostrare una timorosa reverenza, ch'ella non sia fatta con tale audacia e prosunzione che tale effetto paia disperazione, o che faccia un comandamento, come io vidi a questi giorni un angelo che pareva nel suo annunziare che volesse cacciare la Nostra Donna dalla sua camera, con movimenti che dimostravano tanto d'ingiuria, quanto far si potesse a un vilissimo nimico. E la Nostra Donna parea che si volesse, come disperata, gettarsi giú da una finestra.
Sicché siati a memoria di non cadere in tali difetti.
Di questa cosa io non farò scusa con nessuno, perché se un fa credere che io dica a lui, perché ciascuno che fa a suo modo si condanna, e pargli far bene, e questo conoscerai in quelli che fanno una pratica senza mai pigliar consiglio dalle opere di natura, e solo son vòlti a fare assai, e per un soldo piú di guadagno la giornata cucirebbero piú presto scarpe che dipingere. Ma di questi non mi estendo in piú lungo discorso, perché non li accetto nell'arte, figliuola della natura.
Ma per parlar de' pittori e loro giudizi, dico che a quello che troppo muove le sue figure gli pare che quello che le muove quanto si conviene faccia figure addormentate, e quello che le muove poco, gli pare che quello che fa il debito e conveniente movimento sieno spiritate. E per questo il pittore deve considerare i modi di quegli uomini che parlano insieme freddamente o caldamente, ed intendere la materia di che parlano, e vedere se gli atti sono appropriati alle materie loro.
Il pittore dev'essere solitario e considerar ciò ch'esso vede e parlare con sé eleggendo le parti piú eccellenti delle specie di qualunque cosa egli vede; facendo a similitudine dello specchio, il quale si tramuta in tanti colori, quanti sono quelli delle cose che gli si pongono dinanzi; e facendo cosí, gli parrà essere seconda natura.

56. Precetto del pittore.

Se tu, pittore, t'ingegnerai di piacere ai primi pittori, tu farai bene la tua pittura, perché sol quelli sono che con verità ti potran sindacare.
Ma se tu vorrai piacere a quelli che non son maestri, le tue pitture avranno pochi scorti, e poco rilievo, o movimento pronto, e per questo mancherai in quella parte di che la pittura è tenuta arte eccellente, cioè del far rilevare quel ch'è nulla in rilievo.
E qui il pittore avanza lo scultore, il quale non dà maraviglia di sé in tale rilievo, essendo fatto dalla natura quel che il pittore colla sua arte si acquista.

57. Precetti del pittore.

Quello non sarà universale che non ama egualmente tutte le cose che si contengono nella pittura; come se uno non gli piace i paesi, esso stima quelli esser cosa di breve e semplice investigazione, come disse il nostro Botticella, che tale studio era vano, perché col solo gettare di una spugna piena di diversi colori in un muro, essa lascia in esso muro una macchia, dove si vede un bel paese.
Egli è ben vero che in tale macchia si vedono varie invenzioni di ciò che l'uomo vuole cercare in quella, cioè teste d'uomini, diversi animali, battaglie, scogli, mari, nuvoli e boschi ed altre simili cose; e fa come il suono delle campane, nelle quali si può intendere quelle dire quel che a te pare. Ma ancora ch'esse macchie ti dieno invenzione, esse non t'insegnano finire nessun particolare. E questo tal pittore fece tristissimi paesi.

58. Dell'essere universale nelle sue opere.

Tu, pittore, per essere universale e piacere a' diversi giudizi, farai in un medesimo componimento che vi siano cose di grande oscurità e di gran dolcezza di ombre, facendo però note le cause di tali ombre e dolcezze.

59. Precetto.

Quel pittore che non dubita, poco acquista. Quando l'opera supera il giudizio dell'operatore, esso operante poco acquista. E quando il giudizio supera l'opera, essa opera mai finisce di migliorare, se l'avarizia non l'impedisce.

60. Precetti del pittore.

Il pittore deve prima suefare la mano col ritrarre disegni di mano de' buoni maestri, e fatta detta suefazione col giudizio del suo precettore, deve di poi suefarsi col ritrarre cose di rilievo buone, con quelle regole che del ritrar di rilievo si dirà.

61. Precetto intorno al disegno dello schizzare storie e figure.

Il bozzar delle storie sia pronto, e il membrificare non sia troppo finito; sta contento solamente a' siti di esse membra, le quali poi a bell'agio piacendoti potrai finire.


62. Dell'operatore della pittura e suoi precetti.

Ricordo a te, pittore, che quando col tuo giudizio o per altrui avviso scopri alcuni errori nelle opere tue, che tu li ricorregga, acciocché nel pubblicare tale opera tu non pubblichi insieme con quella la materia tua; e non ti scusare con te medesimo, persuadendoti di restaurare la tua infamia nella succedente tua opera, perché la pittura non muore immediate dopo la sua creazione come fa la musica, ma lungo tempo darà testimonianza dell'ignoranza tua.
E se tu dirai che per ricorreggere ci vuol tempo, mettendo il quale in un'altra opera tu guadagneresti assai, tu hai ad intendere che la pecunia guadagnata soprabbondante all'uso del nostro vivere non è molta, e se tu ne vuoi in abbondanza, tu non la finisci di adoperare, e non è tua; e tutto il tesoro che non si adopera è nostro a un medesimo modo; e ciò che tu guadagni che non serve alla vita tua è in man d'altri senza tuo grado.
Ma se tu studierai e ben limerai le opere tue col discorso delle due prospettive, tu lascierai opere che ti daranno piú onore che la pecunia, perché essa sola per sé si onora e non colui che la possiede, il quale sempre si fa calamita d'invidia e cassa di ladroni, e manca la fama del ricco insieme colla sua vita, resta la fama del tesoro e non del tesaurizzante.
E molto maggior gloria è quella della virtú de' mortali, che quella dei loro tesori.
Quanti imperatori e quanti principi sono passati che non ne resta alcuna memoria, perché solo cercarono gli stati e ricchezze per lasciare fama di loro?
Quanti furono quelli che vissero in povertà di danari per arricchire di virtú?
E tanto piú è riuscito tal desiderio al virtuoso che al ricco, quanto la virtú eccede essa ricchezza. Non vedi tu che il tesoro per sé non lauda il suo cumulatore dopo la sua vita, come fa la scienza, la quale sempre è testimone e tromba del suo creatore, perché ella è figliuola di chi la genera, e non figliastra com'è la pecunia?
E se tu dirai poter satisfare piú a' tuoi desiderî della gola e lussuria mediante esso tesoro e non per la virtú, va considerando gli altri che sol han servito ai sozzi desiderî del corpo, come gli altri brutti animali; qual fama resta di loro? E se tu ti scuserai, per avere a combattere colla necessità, non avere tempo a studiare, e farti vero nobile, non incolpare se non te medesimo; perché solo lo studio della virtú è pasto dell'anima e del corpo.
Quanti sono i filosofi nati ricchi che hanno diviso i tesori da sé, per non essere vituperati da quelli! E se tu ti scusassi co' figliuoli, che ti bisogna nutrire, piccola cosa basta a quelli, ma fa che il nutrimento sieno le virtú, le quali sono fedeli ricchezze, perché quelle non ci lasciano se non insieme colla vita. E se tu dirai che vuoi far prima un capitale di pecunia, che sia dote della vecchiezza tua, questo studio mai mancherà, e non ti lascierà invecchiare, e il ricettacolo delle virtú sarà pieno di sogni e vane speranze.
Nessuna cosa è che piú c'inganni che il nostro giudizio se s'adopera nel dare sentenza delle nostre operazioni; esso è buono nel giudicare le cose de' nimici e degli amici no, perché odio e amicizia sono due de' piú potenti accidenti che sieno appresso agli animali.
E per questo tu, o pittore, sii vago di non sentire men volentieri quello che i tuoi avversari dicono delle tue opere, che del sentire quello che dicono gli amici, perché è piú potente l'odio che l'amore, perché esso odio ruina e distrugge l'amore.
Se chi ti giudica è vero amico, egli è un altro te medesimo. Il contrario trovi nel nimico, e l'amico si potrebbe ingannare. Evvi poi una terza specie di giudizi, che mossi d'invidia partoriscono l'adulazione che lauda il principio delle buone opere, acciocché la bugia accechi l'operatore.

63. Modo d'aumentare e destare l'ingegno a varie invenzioni.

Non resterò di mettere fra questi precetti una nuova invenzione di speculazione, la quale, benché paia piccola e quasi degna di riso, nondimeno è di grande utilità a destare l'ingegno a varie invenzioni. E questa è se tu riguarderai in alcuni muri imbrattati di varie macchie o in pietre di varî misti.
Se avrai a invenzionare qualche sito, potrai lí vedere similitudini di diversi paesi, ornati di montagne, fiumi, sassi, alberi, pianure grandi, valli e colli in diversi modi; ancora vi potrai vedere diverse battaglie ed atti pronti di figure strane, arie di volti ed abiti ed infinite cose, le quali tu potrai ridurre in integra e buona forma; che interviene in simili muri e misti, come del suono delle campane, che ne' loro tocchi vi troverai ogni nome e vocabolo che tu t'immaginerai.
Non isprezzare questo mio parere, nel quale ti si ricorda che non ti sia grave il fermarti alcuna volta a vedere nelle macchie de' muri, o nella cenere del fuoco, o nuvoli o fanghi, od altri simili luoghi, ne' quali, se ben saranno da te considerati, tu troverai invenzioni mirabilissime, che destano l'ingegno del pittore a nuove invenzioni sí di componimenti di battaglie, d'animali e d'uomini, come di varî componimenti di paesi e di cose mostruose, come di diavoli e simili cose, perché saranno causa di farti onore; perché nelle cose confuse l'ingegno si desta a nuove invenzioni.
Ma fa prima di sapere ben fare tutte le membra di quelle cose che vuoi figurare, cosí le membra degli animali come le membra de' paesi, cioè sassi, piante e simili.

64. Dello studiare insino quando ti desti, o innanzi tu ti dormenti nel letto allo scuro.

Ancora ho provato essere di non poca utilità, quando ti trovi allo scuro nel letto, andare colla immaginativa ripetendo i lineamenti superficiali delle forme per l'addietro studiate, o altre cose notabili da sottile speculazione comprese, ed è questo proprio un atto laudabile ed utile a confermarsi le cose nella memoria.

65. Piacere del pittore.

La deità che ha la scienza del pittore fa che la mente del pittore si trasmuta in una similitudine di mente divina; imperocché con libera potestà discorre alla generazione di diverse essenze di varî animali, piante, frutti, paesi, campagne, ruine di monti, luoghi paurosi e spaventevoli, che danno terrore ai loro risguardatori, ed ancora luoghi piacevoli, soavi e dilettevoli di fioriti prati con varî colori, piegati da soavi onde de' soavi moti de' venti, riguardando dietro al vento che da loro si fugge; fiumi discendenti cogli empiti de' gran diluvi dagli alti monti, che si cacciano innanzi le diradicate piante, miste co' sassi, radici, terra e schiuma, cacciandosi innanzi ciò che si contrappone alla loro ruina; ed il mare colle sue procelle contende e fa zuffa co' venti, che con quella combattono, levandosi in alto colle superbe onde, e cade, e di quelle ruinando sopra del vento che percuote le sue basse; e loro richiudendo e incarcerando sotto di sé, quello straccia e divide, mischiandolo colle sue torbide schiume, con quello sfoga l'arrabbiata sua ira, ed alcuna volta superato dai venti si fugge dal mare scorrendo per le alte ripe de' vicini promontorî, dove, superate le cime de' monti, discende nelle opposite valli, e parte se ne mischia in aere, predata dal furore de' venti, e parte ne fugge dai venti ricadendo in pioggia sopra del mare, e parte ne discende ruinosamente dagli alti promontorî, cacciandosi innanzi ciò che si oppone alla sua ruina, e spesso si scontra nella sopravegnente onda, e con quella urtandosi si leva al cielo, empiendo l'aria di confusa e schiumosa nebbia, la quale ripercossa dai venti nelle sponde de' promontorî genera oscuri nuvoli, i quali si fan preda del vento vincitore.

66. De' giuochi che debbono fare i disegnatori.

Quando vorrete, o voi disegnatori, pigliare da' giuochi qualche utile sollazzo, è da usare sempre cose al proposito della vostra professione, cioè del fare buon giudizio di occhio, del saper giudicare la verità delle larghezze e lunghezze delle cose; e per assuefare lo ingegno a simili cose faccia uno di voi una linea retta a caso su un muro, e ciascuno di voi tenga una sottile festuca, o paglia in mano, e ciascuno tagli la sua alla lunghezza che gli pare abbia la prima linea, stando lontani per ispazio di dieci braccia, e poi ciascuno vada all'esempio a misurare con quella la sua giudiziale misura; e quello che piú si avvicina colla sua misura alla lunghezza dell'esempio sia superiore e vincitore ed acquisti da tutti il premio che innanzi da voi fu ordinato.
Ancora si deve pigliare misure scortate, cioè pigliare un dardo o canna, e riguardare dinanzi ad essa una certa distanza, e ciascuno col suo giudizio stimi quante volte quella misura entri in quella distanza; ed ancora chi tira meglio una linea d'un braccio, e sia provata con filo tirato. E simili giuochi sono cagione di fare buon giudizio d'occhio, il quale è il principale atto della pittura.

67. Che si deve prima imparare la diligenza che la presta pratica.

Quando tu, disegnatore, vorrai far buono ed utile studio, usa nel tuo disegnare di fare adagio; e giudicare infra i lumi quali e quanti tengano il primo grado di chiarezza, e similmente infra le ombre quali sieno quelle che sono piú scure che le altre, ed in che modo si mischiano insieme, e le quantità; e paragonare l'una coll'altra, ed i lineamenti a che parte si drizzino, e nelle linee quanta parte di esse torce per l'uno o l'altro verso, e dove è piú o meno evidente, e cosí larga o sottile; ed in ultimo che le tue ombre e lumi sieno uniti senza tratti o segni ad uso di fumo. E quando tu avrai fatto la mano e il giudizio a questa diligenza, verratti fatta tanto presto la pratica che tu non te ne avvedrai.

68. S'egli è meglio disegnare in compagnia o no.

Dico e confermo che il disegnare in compagnia è molto meglio che solo, per molte ragioni. La prima è che tu ti vergognerai di esser visto nel numero dei disegnatori essendo insufficiente, e questa vergogna sarà cagione di buono studio; secondariamente, la invidia buona ti stimolerà ad essere nel numero de' piú laudati di te, ché l'altrui laude ti spronerà; l'altra è che tu piglierai degli atti di chi farà meglio di te; e se sarai meglio degli altri, farai profitto di schivare i mancamenti, e l'altrui laude accrescerà la tua virtú.

69. Modo di bene imparare a mente.

Quando tu vorrai sapere una cosa studiata bene a mente, tieni questo modo: cioè quando tu hai disegnato una cosa medesima tante volte che ti paia averla a mente, prova a farla senza lo esempio; ed abbi lucidato sopra un vetro sottile e piano lo esempio suo, e lo porrai sopra la cosa che hai fatto senza lo esempio; e nota bene dove il lucido non si scontra col disegno tuo; e dove trovi avere errato, lí tieni a mente di non errare piú, anzi ritorna all'esempio a ritrarre tante volte quella parte errata, che tu l'abbia bene nella immaginativa.
E se per lucidare una cosa tu non potessi avere un vetro piano, togli una carta di capretto sottilissima e bene unta e poi seccata; e quando l'avrai adoperata per un disegno, potrai colla spugna cancellarla e fare il secondo.


70. Come il pittore non è laudabile s'egli non è universale.

Alcuni si può chiaramente dire che s'ingannano, i quali chiamano buon maestro quel pittore il quale solamente fa bene una testa o una figura.
Certo non è gran fatto che, studiando una sola cosa tutto il tempo della sua vita, non ne venga a qualche perfezione; ma conoscendo noi che la pittura abbraccia e contiene in sé tutte le cose che produce la natura, e che conduce l'accidentale operazione degli uomini, ed in ultimo ciò che si può comprendere cogli occhi, mi pare un tristo maestro quello che solo una figura fa bene.
Or non vedi tu quanti e quali atti sieno fatti dagli uomini?
Non vedi tu quanti diversi animali, e cosí alberi ed erbe e fiori e varietà di siti montuosi e piani, fonti, fiumi, città, edifizi pubblici e privati, strumenti opportuni all'uso umano, varî abiti ed ornamenti ed arti? Tutte queste cose appartengono di essere di pari operazione e bontà usate da quello che tu vuoi chiamare buon pittore.

71. Della trista suasione di quelli che falsamente si fanno chiamare pittori.

Vi ha una certa generazione di pittori, i quali per loro poco studio bisogna che vivano sotto la bellezza dell'oro e dell'azzurro.
Con somma stoltizia allegano costoro non mettere in opera le buone cose per tristi premî, e che saprebbero ancora loro far bene come un altro quando fossero ben pagati. Or vedi gente stolta! Non sanno questi tali tenere qualche opera buona dicendo: questa è da buon premio, e questa è da mezzano, e questa da sorte, e mostrare d'avere opere d'ogni premio?

72. Come il pittore dev'esser vago di udire, nel fare dell'opera, il giudizio di ognuno.

Certamente non è da ricusare mentre che l'uomo dipinge il giudizio di ciascuno, perocché noi conosciamo chiaro che l'uomo, benché non sia pittore, avrà notizia della forma dell'altro uomo, e ben giudicherà s'egli è gobbo o s'egli ha una spalla alta o bassa, o s'egli ha gran bocca o naso od altri mancamenti.
Se noi conosciamo gli uomini poter con verità giudicare le opere della natura, quanto maggiormente ci converrà confessare questi poter giudicare i nostri errori, ché sappiamo quanto l'uomo s'inganna nelle sue opere; e se non lo conosci in te, consideralo in altrui, e farai profitto degli altrui errori.
Sicché sii vago con pazienza udire l'altrui opinione; e considera bene e pensa bene se il biasimatore ha cagione o no di biasimarti; e se trovi di sí, racconcia, e se trovi di no, fa vista di non l'avere inteso; o, s'egli è uomo che tu stimi, fagli conoscere per ragione ch'egli s'inganna.

73. Come nelle opere d'importanza l'uomo non si deve mai fidare tanto nella sua memoria, che non degni ritrarre dal naturale.

Quel maestro il quale si desse d'intendere di poter riservare in sé tutte le forme e gli effetti della natura, certo mi parrebbe che fosse ornato di molta ignoranza; conciossiacosaché detti effetti sono infiniti, e la memoria nostra non è di tanta capacità che basti.
Adunque tu, pittore, guarda che la cupidità del guadagno non superi in te l'onore dell'arte, ché il guadagno dell'onore è molto maggiore che l'onore delle ricchezze. Sicché per queste ed altre ragioni che si potrebbero dire, attenderai prima col disegno a dare con dimostrativa forma all'occhio la intenzione e la invenzione fatta in prima nella tua immaginativa.
Dipoi va levando e ponendo tanto, che tu ti satisfaccia; di poi fa acconciare uomini vestiti o nudi, nel modo che in sull'opera hai ordinato, e fa che per misura e grandezza sottoposta alla prospettiva, non passi niente dell'opera che bene non sia considerata dalla ragione e dagli effetti naturali. E questa sarà la via da farti onorare della tua arte.

74. Di quelli che biasimano chi disegna alle feste, e che investiga le opere di Dio.

Sono infra il numero degli stolti una certa setta, detti ipocriti, che al continuo studiano d'ingannare sé ed altri, ma piú altri che sé; ma in vero ingannano piú loro stessi che gli altri.
E questi son quelli che riprendono i pittori, i quali studiano i giorni delle feste nelle cose appartenenti alla vera cognizione di tutte le figure che hanno le opere di natura, e con sollecitudine s'ingegnano di acquistare la cognizione di quelle, quanto a loro sia possibile.
Ma tacciano tali riprensori, ché questo è il modo di conoscere l'operatore di tante mirabili cose, e questo è il modo di amare un tanto inventore, perché invero il grande amore nasce dalla gran cognizione della cosa che si ama, e se tu non la conoscerai, poco o nulla la potrai amare.
E se tu l'ami per il bene che t'aspetti da lei, e non per la somma sua virtú, tu fai come il cane che mena la coda e fa festa alzandosi verso colui che gli può dare un osso, ma se conoscesse la virtú di tale uomo l'amerebbe assai piú, se tal virtú fosse al suo proposito.

75. Delle varietà delle figure.

Il pittore deve cercare d'essere universale, perché gli manca assai dignità se fa una cosa bene e l'altra male: come molti che solo studiano nel nudo misurato e proporzionato, e non ricercano la sua varietà; perché può un uomo essere proporzionato ed esser grosso e corto o lungo e sottile o mediocre, e chi di questa varietà non tien conto fa sempre le sue figure in stampa, che pare che sieno tutte sorelle, la qual cosa merita grande riprensione.

76. Dell'essere universale.

Facil cosa è all'uomo che sa, farsi universale, imperocché tutti gli animali terrestri hanno similitudine di membra, cioè muscoli, nervi ed ossa, e nulla variano, se non in lunghezza, o in grossezza, come sarà dimostrato nell'anatomia.
Degli animali d'acqua, che sono di molta varietà, e cosí degli insetti, non persuaderò il pittore che vi faccia regola, perché sono d'infinite varietà.

77. Dell'errore di quelli che usano la pratica senza la scienza.

Quelli che s'innamorano della pratica senza la scienza, sono come i nocchieri che entrano in naviglio senza timone o bussola, che mai hanno certezza dove si vadano. Sempre la pratica dev'essere edificata sopra la buona teorica, della quale la prospettiva è guida e porta, e senza questa nulla si fa bene.

78. Dell'imitare pittori.

Dico ai pittori che mai nessuno deve imitare la maniera dell'altro, perché sarà detto nipote e non figliuolo della natura; perché, essendo le cose naturali in tanta larga abbondanza, piuttosto si deve ricorrere ad essa natura che ai maestri, che da quella hanno imparato.
E questo dico non per quelli che desiderano mediante quella pervenire a ricchezze, ma per quelli che di tal arte desiderano fama e onore.