Textual description of firstImageUrl

Correggio | Jupiter and Io, 1530


Jupiter and Io is a painting by the Italian late Renaissance artist Antonio Allegri da Correggio.
It is housed in the Kunsthistorisches Museum of Vienna, Austria.

History

The series of Jupiter's Loves was conceived after the success of Venus and Cupid with a Satyr. Correggio painted four canvasses in total, although others had been programmed perhaps.


In the first edition of his Lives, late Renaissance art biographer Giorgio Vasari mentions only two of the paintings, Leda (today at the Gemäldegalerie, Berlin) and one Venus (presumably the Danae currently in the Borghese Gallery of Rome), although he knew them only from descriptions provided by Giulio Romano.
Vasari mentions that the commissioner, duke Federico Gonzaga II, wanted to donate the works to emperor and King of Spain Charles V: that the other two works, Ganymede Abducted by the Eagle and Jupiter and Io, were in Spain during the 16th century implies that they were part of the same series.

British art historian Cecil Gould suggested that Federico had commissioned the Io and Ganymede for himself, and that they were ceded to Charles V only after the duke's death in 1540, perhaps on occasion of the marriage of the king's son, Philip; other hypothesized that Federico ordered them for the Ovid room in his Palazzo Te.
The canvas was in Vienna since as early as the 1610s, when it is mentioned in the Habsburg imperial collections together with Ganymede.


Description

The scene of Jupiter and Io is inspired by Ovid's classic Metamorphoses.
Io, daughter of Inachus, the first king of Argos, is seduced by Jupiter (Zeus in Greek), who hides behind the dunes to avoid hurting the jealous Juno (Hera in Greek).
Jupiter was often tempted by other women and took on various disguises in order to cover his various escapades, one time taking the form of a swan, another time of an eagle, and in this painting he is not becoming something else so much as enveloping himself in a dark cloud, even though it is bright daylight.
He is embracing the nymph, his face barely visible above hers.


She is pulling Jupiter's vague, smoky hand towards herself with barely contained sensuality; this is a sensual painting, depicting one of the many loves of the god.
Indeed, the Duke of Mantua, Federico Gonzaga, wanted to place the painting and its companion pieces in a room dedicated to the loves of Jupiter.
Noteworthy is the contrast between the evanescent figure of the immaterial Jupiter, and the sensual substance of Io's body, shown lost in an erotic rapture which anticipates the works of Bernini and Rubens. | © Wikipedia



Giove e Io è un dipinto a olio su tela (163,5x74 cm) di Correggio, databile al 1532-1533 circa e conservato nel Kunsthistorisches Museum di Vienna.
Fa parte di una serie realizzata per il duca di Mantova Federico II Gonzaga avente per tema gli amori di Giove.

Storia

La serie degli Amori di Giove venne concepita dopo il successo riscosso dalla tela di Venere e Amore spiati da un satiro.
L'artista fece in tempo ad eseguire quattro tele, accoppiabili a due a due per le dimensioni, e forse altre ne erano state programmate.
La cronologia delle quattro tele è argomento alquanto controverso.
Ciò che importa però è soprattutto il fondamentale contributo che esse diedero allo sviluppo della pittura a soggetto mitologico e profano, grazie al nuovo e straordinario equilibrio tra resa naturalistica e trasfigurazione poetica.

Dipinte per Mantova, forse palazzo Te, pervennero poi a Carlo V: Vasari, che aveva sentito parlare del ciclo da Giulio Romano, citò solo due dei dipinti, tralasciando Giove e Io e il Ratto di Ganimede (due opere di uguale formato).
Gould cercò di spiegare l'omissione ipotizzando che Io e Ganimede fossero state fatte realizzare da Federico II per sé, che le abbia donate all'imperatore durante la sua visita del 1532 e che abbia poi commissionato Leda e Danae espressamente per Carlo V; per Verheyen i quattro dipinti sarebbero stati realizzati per la sala di Ovidio in palazzo Te e sarebbero passati a Carlo solo dopo la morte del duca Federico (1540), forse in occasione delle nozze di suo figlio, l'infante Filippo.

Conservata nelle raccolte reali spagnole, passò poi, insieme alla Danae, alla collezione dello scultore milanese Leone Leoni, presso la quale è ricordata da Giovanni Paolo Lomazzo nel suo Trattato dell'arte de la pittura del 1584: le due tele vennero acquistate tra il 1601-1603 da un intermediario Rodolfo II d'Asburgo con il Cupido che fabbrica l'arco del Parmigianino, e vennero portate a Praga, ma già negli anni '10 del '600 era presente, insieme al Ratto di Ganimede, nelle raccolte imperiali di Vienna.
L'opera ha affascinato moltissimi artisti, soprattutto settecenteschi.
Avendo abbandonato l'Italia nel Cinquecento è interessante ricordare come doveva comunque esserne rimasta una memoria se il pittore Pier Francesco Mola ne trasse un disegno.


Descrizione e stile

Il dipinto è dedicato alla vicenda di Io, sacerdotessa di Era, così come narrata nelle Metamorfosi, il poema epico-mitologico di Ovidio: invaghitosi di lei ma timoroso della gelosia di sua moglie, Giove fece calare una fitta nebbia sulla terra e sedusse l'affascinante fanciulla.
Il taglio così simile col Ganimede farebbe pensare che le due tele fossero impostate per costituire un pendant ed essere viste appaiate.
Tuttavia ogni ipotesi sulla destinazione degli Amori di Giove, commissionati da Federico II Gonzaga non ha ancora ricevuto sostegno documentario.

Per la posa arcuata della ninfa Io, rappresentata di schiena, il Correggio si ispirò a prototipi antichi, quali il celebre bassorilievo ellenistico dell'Ara Grimani dove è rappresentato Cupido che bacia Psiche.
Più in generale la raffigurazione di tergo di una figura femminile in atteggiamento erotico appartiene alla cultura artistica antica.
Ciò detto, i possibili modelli antichi furono sapientemente trasfigurati dal Correggio per creare questa immagine splendida dove l'abbandono della ninfa è funzionale ad accogliere quella che è una delle rappresentazioni più virtuosistiche della pittura del Cinquecento: la nuvola soffice ed eterea in cui si era mutato Giove per sedurre la bellissima Io.
La rappresentazione delle nuvole aveva interessato il Correggio fin dagli anni degli affreschi della cupola di San Giovanni Evangelista e da qui in poi era divenuta quasi una cifra sitilistica della sua ricerca.

Rappresentare le nuvole, come del resto la pioggia, l'acqua, i fulmini, era considerata una delle più ambite difficoltà dell'arte.
Alla fine della sua carriera, per quella che forse è in assoluto la sua ultima opera, il Correggio si impegnò ad offrire un saggio della sua maestria.
Non solo la nuvola perlacea ed evanescente in cui si intravede un volto umano, ma anche un ruscello di acqua limpida in primissimo piano, per circondare il gesto voluttuoso della ninfa di un riverbero di luci crepuscolari.