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Michail Lermontov | Il Demone, 1829 | Prima parte

Michail Jur'evič Lermontov /Михаил Юрьевич Лермонтов (1814-1841) è una delle personalità letterarie più importanti del Romanticismo russo.
Poeta, scrittore e drammaturgo fu contemporaneo di Aleksandr Sergeevič Puškin (1799-1837) e come lui, morì in duello.
Autore del poema “Il Demone” e di “Un eroe del nostro tempo”, il suo capolavoro in prosa che uscì nel 1840, un anno prima della sua morte.
"Il Demone" / Демон rappresenta uno dei capolavori della Letteratura Russa, oltre che della Letteratura Romantica Europea.
"Il Demone" fu iniziato nel 1829 da un Lermontov sedicenne e concluso nel 1841. Lermontov scrisse ben otto redazioni del poema.


Basandosi sul mito dell'amore tra Angeli Caduti e donne umane, Lermontov immaginò che il Demone, l'Angelo Caduto più bello, si innamorasse di una principessa georgiana, Tamara.
Il poema non venne pubblicato finché egli fu in vita, ma girava in copie manoscritte.
Il poeta iniziò l’opera sotto l’influsso del "Caino" (1821) di Byron e "The loves of Angels" (1823) di Thomas Moore e vi lavorò praticamente tutta la vita.
Il pittore Russo Michail Aleksandrovič Vrubel / Михаи́л Алекса́ндрович Вру́бель (1856-1910), massimo esponente dell’Art Noveau e del Simbolismo russo, subì da subito una sorta di infatuazione e turbamento dal Demone di Lermontov, egli amava talmente tanto il poema che lo conosceva a memoria.

Michail Aleksandrovič Vrubel (1856-1910)

Alla fine dell’Ottocento, Vrubel’ realizzò, su commissione, le illustrazioni del poema di Lermontov, dipinse tre quadri per il Demone ed anche molti abbozzi.

Prima parte
Capitolo I


Mikhail Vrubel - Demon flying

Il proscritto dal cielo, il triste Demone
volava sulla terra dei peccati,
ed i ricordi dei felici giorni
si affollavan nella memoria:
dei giorni in cui nelle celesti plaghe
Egli luceva puro cherubino
e la cometa fuggiva a Lui
un amico saluto Gli rivolgeva,
e amabilmente Gli parlava. Allora
attraversando le eterne nebbie,
avido di conoscenza, seguiva
le nomadi carovane di stelle
nelle plaghe del cielo immense sparse;
quando credeva ed amava: felice
primogenito di tutto il creato!
Non conosceva il dubbio e non il male,
nè minacciava la sua mente lunga
di sterili tempi serie dolente...
E molte, e molte altre cose, e di tutto,
di ricordar la forza non aveva.

Mikhail Vrubel - Demon

II

Respinto da remoti tempi, errava
senza asilo nel deserto del mondo:
e i secoli inseguivano i secoli
come un minuto dietro l'altro in una
successione monotona e annoiante;
Signore di una terra miserabile
senza piacere seminava il male.
In nessun luogo trovava la sua arte
una qualche resistenza, e per questo
anche il male Gli diventò noioso.

III

Mikhail Vrubel - Demon flying

Sulle vette del Caucaso volava
l'esule dal Paradiso: c'era sotto
di Lui il Kazbek, la faccia d'un diamante,
che risplendeva con le eterne nevi,
e nereggiando nel profondo, quasi
una crepa dimora della serpe,
la sinuosa valle del Darjal:
e il Terek, saltando come leonessa,
la villosa criniera sulla schiena,
ruggiva: belve montane e uccelli
girando nell'altitudine azzurra
sentivano la voce delle sue acque.
E le nubi dorate, di lontano,
dalle terre del sud lo accompagnavano
verso le plaghe del settentrione;
e le montagne in fitta folla, colme
di misterioso sonno su di lui
chinavano la testa, inseguendo
le baluginanti onde,
sulle rocce le torri dei castelli
minacciose tra le nubi guatavano
di sentinella alle porte del Caucaso,
come maestosi giganti guardiani!
Selvaggio e meraviglioso era intorno
tutto il mondo di Dio, ma lo spirito
orgoglioso, con sguardo di disprezzo
considerava il creato di Dio,
del suo Signore, e sulla sua alta fronte
non si rifletteva pensiero alcuno.


IV

E dinanzi a lui le bellezze vive
fiorirono d'un altro quadro: della
Georgia meravigliosa le valli
come tappeti dipinti si aprivano;
lussureggiante, felice paese!
I pioppi come colonne, i ruscelli
che sonanti scorrevano sul fondo
di pietre variopinte ed i cespugli
dove cantan gli usignoli alle belle
che non rispondono alla dolce voce
del loro amore, e dove la sua ombra
sparge dolce il platano fronzuto,
dove le grotte sono avvolte d'edera
intricata, rifugio nell'ardente
calura del giorno al timido cervo;
vita, splendore, e mormorio di foglie,
lingua di cento voci risonanti
e di mille alberi e piante il respiro!
Del meriggio il caldo voluttuoso,
le notti umide sempre di rugiada
profumata e le stelle luminose
come lo sguardo di una bella donna,
di una giovane georgiana!...
Ma nient'altro che una fredda invidia
suscitava la splendida natura
nello sterile cuore del proscritto,
non muovi sentimenti, o forze nuove.
E tutto quello che egli vedeva,
lo disprezzava, oppur lo odiava.

V

Un'altra casa, dal largo cortile
s'era costruito il vecchio Gudàl...
era costata lacrime e fatiche
agli obbedienti schiavi, in tempi antichi.
Fin dal mattino, sul pendio dei monti
si posano le ombre delle sue mura.
Nella roccia son scavati i gradini,
essi dalla torre angolare
portando al fiume: a volte vi si vede,
di un bianco velo ricoperta,
la giovane principessa Tamara
che va ad attinger acqua al fiume Aragva.

VI

Da sempre silenziosa sulla valle
cupa la casa guardava dalla rocca:
ma grande festa si celebrava oggi:
risuonò la zurnà e scorrono i vini:
fidanzava Gudàl la propria figlia
e alla festa invitò tutti i parenti.
Sul tetto, ricoperto di tappeti,
tra le amiche siede la ragazza.
Fra giochi e canti esse si divertono.
Dalla lontana catena di montagne
si nasconde del sole il semicerchio.
Cantano, e battono le mani in ritmo,
e la giovane fidanzata prende
il suo tamburo.


Ed eccola: con una mano gira
il tamburello sopra la sua testa,
e più lieve di un uccello ora vola,
ora si ferma e guarda ed il suo sguardo
ecco che umido scintilla,
dietro le belle, invidiose ciglia;
ora gioca col nero sopracciglio,
ora d'un tratto si china lievemente,
e scivola sul tappeto, e vola
e danza, con quel suo divino piede,
ed eccola che ora ci sorride
colma di gioia infantile, e il raggio
della luna che lieve gioca a volte
nell'oscillante umidità dell'ombra
non può paragonarsi a quel sorriso
vivo come la gioventù e la vita.

VII

Giuro per la stella di mezzanotte,
per il raggio del tramonto e dell'alba,
Il Signore della Persia dorata
e nessun altro re terrestre mai
potè baciare occhi così belli;
la zampillante fontana dell'harem
nel caldo tempo dell'estate mai
potè con le sue rugiadose perle
bagnare una figura così bella!
Nè la mano terrestre di nessuno
nel carezzare quell'amata fronte
ancora scompigliò le belle chiome;
Da quando al mondo han tolto il paradiso
una bellezza così bella mai,
lo giuro, sotto il sole era fiorita.

VIII

E per l'utima volta ella danzava.
Ahimè, al mattino l'attendeva, lei,
l'erede di Gudàl, inquieta figlia
di libertà, il destino triste d'una
schiava: un'altra, ancor straniera patria,
e straniera, una famiglia.
Del tutto sconosciuta, ignota gente.
Per questo spesso un segreto dubbio
le oscurava il luminoso volto,
eppure sempre le sue movenze erano
così armoniose e ricche di espressione,
così colme di dolce semplicità,
che se Il Demone volando in quel tempo
avesse a lei rivolto il suo sguardo
gli angeli fratelli ricordando
girando il volto avrebbe sospirato.

IX

E Il Demone la vide: per un attimo
di colpo un'emozione inspiegabile
sentì dentro la sua anima.
E ricolmò una beata armonia
il deserto del suo muto cuore
e di nuovo provò la santità
della Bellezza, del Bene e dell'Amore!
A lungo contemplò il dolce quadro,
e i sogni della felicità antica.
Come stella che nasce da una stella,
fluirono davanti al suo ricordo.
Ed Egli si sentì come inchiodato
da una forza invisibile ed ignota,
ed una nuova tristezza egli conobbe,
un sentimento in lui parlò con lingua
a lui ben nota un tempo e molto cara.
Di rinascenza era questo un segno?
Parole perfide di seduzione
nella sua mente non potè trovare...
Dimenticar non concedeva Dio:
e Lui stesso l'oblio non voleva!

X

Tormentando il suo valente destriero
alle feste di nozze, verso il tramonto
correva l'impaziente fidanzato.
Felicemente raggiunse le verdi
rive della luminosa Aragva.
Sotto il greve fardello dei regali
appena appena rimanendo dietro
lo seguiva la fila dei cammelli
che lenti vanno nella lunga strada,
facendo risuonare i campanelli,
ed è lui, il Signore di Sinodal,
che guida quella ricca carovana.
Bello nella sua elegante cintura,
risplende al sole l'ornamento della
sua bella sciabola e del pugnale.
Sulla schiena il fucile arabescato.
E gioca il vento con le ampie maniche
del suo mantello tutto decorato
con le dorate insegne e coi galloni.
Ricamata con sete colorate
è la sua sella, con nappe è la briglia;
il suo cavallo, schiumeggiante, ardito,
ha un prezioso mantello: sembra d'oro.
Veloce pupillo del Karabach
drizza gli orecchi, e pieno di paura
sbuffa e guarda dallo scosceso ciglio
la rapida onda che schiumeggia in basso.
Pericoloso e stretto è il cammino:
sulla sinistra stan le rocce ripide,
e sulla destra in basso il ribelle fiume.
è già tardi. Sull'innevata cima
si spegne il cielo, s'è alzata la nebbia...
la carovana accelera il suo passo.

XI

Ed ecco sulla strada una cappella...
Qui da remoti tempi dorme in Dio
non so qual principe, or fatto santo,
che una mano di vendetta uccise.
Da allora, vada a battaglia o festa,
il passeggero, dovunque si affretti,
sempre col cuore una preghiera assorta
egli pronuncia spesso la cappella;
e proteggeva la sincera prece
dall'improvviso pugnale musulmano.
Ma disprezzò l'ardito fidanzato
quel costume dei suoi antenati.
Con un perfido sogno lo turbava
l'astuto Demone del male.
Nella sua fantasia, nella notte
la bocca di Tamara Egli baciava,
ed ecco apparvero in due davanti,
s'udì uno sparo: ma che accade dunque?
Alzatosi sulle staffe sonanti
il coraggioso principe non parla,
si spinge sulla fronte la papacha,
stringe in mano il suo fucile turco.
Un colpo di staffile, e come un'aquila
si slancia: ma esplode un altro colpo!
Un selvaggio grido ed un lamento sordo
echeggiano nella profonda valle.
E non per molto proseguì la lotta:
i codardi gruzini son fuggiti!
i Georgiani!

XII

E tutto tace: si stringono i cammelli
per guardare, più volte, con timore
i corpi dei morti cavalieri,
e sordo nel silenzio della steppa
si sente il suono dei loro campanelli.
Saccheggiata è la ricca carovana;
e sui corpi dei cristiani morti
traccia i suoi cerchi il notturno uccello!
Non più li attende silenziosa tomba
sotto le pietre di qualche monastero,
dove la cenere degli avi è sepolta;
e non verranno le sorelle e madri
di lunghi veli ricoperte a piangere
ed a pregare nella loro angoscia
dai più lontani luoghi sul sepolcro!

Pietosa la mano invece sulla strada
sopra la roccia innalzerà una croce,
a lor memoria, e l'edera verde
che cresce al tempo della primavera,
con le carezze delle lievi fogli
l'abbraccerà in smeraldina rete;
e svoltando dalla difficoltosa
strada, a volte, gli stanchi viandanti
riposeranno sotto l'ombra sacra.

XIII

Corre il destriero, d'un cervo più veloce,
sbuffa e si sforza, come alla battaglia;
a un tratto ora s'arresta nella corsa,
per ascoltare la voce del vento,
ed allargar le frementi narici,
ora si mette a battere la terra
con i ferri dei risonanti zoccoli,
e agitando la scompigliata criniera.
Senza memoria vola, vola avanti.
E lo cavalca un silente cavaliere!
Egli talvolta batte sulla sella,
cade col capo sulla sua criniera.
Più non guarda con le adorne briglie
nè si muovono i piedi nelle staffe.
Sulla gualdrappa si vedeva in chiazze,
in larghe chiazze, del cavaliere il sangue.
O veloce destriero, hai portato
lontano dalla battaglia il tuo Signore,
ma già l'aveva colpito la mortale
pallottola osseta nella tenebra!

XIV

Si piange nella casa di Gudàl,
e nel cortile la gente s'affolla:
a chi appartiene il destriero stremato
caduto sulle pietre della soglia?
E chi è il cavalier che non respira?
Hanno serbato le rughe del suo volto
dell'aspra battaglia ancora tracce.
Pieni di sangue son l'arma e il vestito;
nella folle ultima stretta la mano
immobile abbranca la criniera.
O fidanzata, per un breve tempo
il tuo sguardo ha atteso il fidanzato.
La parola di principe mantenne,
e il nuziale festino galoppava...
Ma ahimè non monterà più di nuovo,
non salirà sull'ardito destriero!

XV

Così la folgore divina ha colpito
la spensierata famiglia di Tamara.
Sul suo letto Tamara s'è buttata,
giace Tamara nel suo letto, e piange,
scendono le lacrime sul suo bel volto,
nell'affanno respira l'alto petto;
ma ecco che le sembra di sentire
una magica voce su di sé:


"Non piangere, fanciulla, vane lacrime!"
Non cadrà il tuo pianto, viva rugiada,
sul corpo silenzioso del tuo sposo:
solo il tuo sguardo annebbierà quel pianto
e brucerà le verginali gote!
Egli è lontano e non conoscerà,
e non potrà sentire il tuo dolore;
Ora accarezzerà la celeste luce
degli occhi disincarnati lo sguardo;
Egli sente i canti del paradiso...
Per lui non contano i sogni meschini,
e il pianto di una povera fanciulla,
per lui che vive nell'eterna plaga.
No, la sorte d'un essere mortale,
credi a me, o mio angelo terrestre,
non vale un attimo soltanto della
tua tristezza, così preziosa!

Nell'oceano dell'aria
senza vele nè timone
nella nebbia fluttuando
vanno i cori delle stelle;
e fra i campi infiniti
vanno in cielo senza traccia
delle nubi inafferrabili
i lanosi armenti.
Nè l'addio, nè gli incontri
danno a loro gioia o pianto;
mai non bramano il futuro,
nè rimpiangono il passato.
Nel tormento del dolore
tu ricordati di loro;
dalla terra sii staccata,
noncurante come loro!"

"Non appena la notte col mantello
le cime del Caucaso coprirà,
ed il mondo con magica parola
come fosse incantato tacerà,
e non appena il vento sulle rocce
farà fremere l'erba appassita
e l'uccellino nell'erba nascosto
volerà via contento nel buio,
e sotto il tralcio della vite il fiore
notturno fiorirà avidamente
bevendo la celeste sua rugiada;
e non appena la dorata luna
dalla montagna piano s'alzerà
e guarderà furtiva il tuo bel volto,
Io volerò da te e sarò tuo ospite
fino al sorgere della chiara aurora
e manderò alle tue ciglia di seta
sogni dorati..."

XVI

Tacquero le parole in lontananza,
morirono i suoni l'un dietro l'altro.
Ella si alza e si guarda intorno...
Un oscuro, confuso turbamento
c'è nel suo cuore paura e tristezza,
ardore d'estasi: nulla in paragone.
Ribollono in lei d'un tratto sentimenti;
e spezza l'anima le sue catene,
mentre un fuoco le vene le trascorre,
e la voce meravigliosa e nuova,
così le sembra, in lei risuona ancora.
Verso il mattino il bramato sonno
finalmente le chiude gli occhi stanchi;
ma Egli il sonno le turbava sempre
con un sogno profetico e strano.
Lo straniero nebuloso e muto,
splendendo di bellezza non terrestre,
sul suo guanciale si chinava: e tale
era l'amore nei suoi occhi, e la pena,
e così tristemente la guardava,
che pareva soffrisse per Tamara.
Era forse un angelo celeste?
Era forse il suo angelo custode?
Ma iridata corona di raggi
non abbelliva le sue chiome: e allora
era forse uno spirito dell' Ade,
Lo Spirito del Male? Non lo era,
Egli era come una chiata sera:
non tenebra nè luce, giorno o notte!...


For Part II -in english and italian- see:
Michail Lermontov / Mikhail Vrubel | Demon / Il Demone, 1829 | Part.2🎨