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Michail Lermontov | Il Demone, 1829 | Seconda parte

Capitolo I

"Padre, padre non minacciarmi più,
la tua Tamara non rimproverare;
vedi che piango, vedi queste lacrime
che già non sono più le prime. Invano
s'affollano, venuti da lontano,
i pretendenti per cercarmi in sposa...
Non sono poche in Gruzia le fanciulle!
Ma io non sarò sposa di nessuno!...

Mihaly von Zichy (1827-1906) Tamara and Demon

O, non rimproverarmi padre mio:
vedi tu stesso che di giorno in giorno
per un mortale veleno io appassisco!
Che l'anima mi strazia il maligno
con un sogno che io non so respingere;
io sto morendo: e tu abbi pietà!
Lascia che vada in un santo monastero
la figlia tua ormai senza ragione;
là mi difenderà il Salvatore.

Tamara | Alfred Eberling (1872-1951)

tutta l'angoscia a lui rivelerò.
Non c'è più gioia al mondo ormai per me.
Protetta dalla pace del convento
mi accoglierà una cella oscura,
come una tomba, prima del mio tempo..."

II

Nel remoto convento solitario
portarono Tamara i suoi parenti
dal tormento dell'umile cilicio
il suo giovane petto fu avvolto.

Mikhail Vrubel - Monastery
Mikhail Vrubel | Monastery

Ma anche nel monacale vestito,
come sotto i ricami d'un broccato,
non la lasciava il suo sogno impuro,
e come prima, in lei batteva il cuore.
Presso l'altare, al lume di candela,
all'ora dei solenni canti, spesso
tra le fervide preci, ella sentiva
ancor quelle parole, quella voce.
Sotto le volte della buia chiesa
talvolta quell'immagine ben nota
le appariva senza suono o traccia
nella leggera nebbia dell'incenso;
splendeva silenziosa come stella;
coi cenni la chiamava: verso dove?...

III

In un fresco posto, fra due colline,
si nascondeva il santo monastero,
da file di platani e di pioppi
era circondato, e qualche volta,
allo scender della notturna tenebra,
appariva alla finestra d'una cella
tra gli alberi, la lampada di una
giovane peccatrice. E, fra i mandorli,
dove file di tristi croci stavano,
silenziose guardiane delle tombe,
cantavano i cori di aerei uccelli.
Saltavan sulle pietre mormorando
di freschissima acqua le sorgenti,
e sotto la montagna incombente
confluendo, amiche, nella gola,
più oltre, scorrevano, fra i cespugli,
di fiorelli di brina ricoperti.

IV

E verso nord si vedono le montagne,
al brillare di mattiniera aurora,
quando l'azzurreggiante esile fumo
dalla valle profonda si innalza,
e volgendosi alla plaga d'oriente
chiamano i muezzin alla preghiera,
e rintocca la squillante campana
risvegliando col suono il convento;
nel solenne pacifico momento,
quando la giovane donna di Georgia
va con la lunga brocca a prendere l'acqua
scendendo per la ripida montagna
si stagliano allora nel puro cielo
le innevate vette della catena
dei monti, chiara, violetta muraglia;
e poi si vestono all'ora del tramonto
d'una fascia scarlatta le montagne;
e fra esse, le nubi trafiggendo,
si innalza sopra tutte con la vetta
il possente Kazbek, il re del Caucaso,
con il turbante e veste di broccato.

V

Ma, colmo di un colpevole pensiero,
non lascia il cuore di Tamara spazio
ai puri impeti. Davanti a lei
tutto il mondo riveste un'ombra cupa;
tutto è in lei pretesto di tormento:
dell'alba il raggio e della notte l'ombra.
A volte non appena la frescura
della notte scendeva sulla terra,
davanti all'icona del Signore
cadeva in sua follia Tamara,
per piangere, e nel notturno silenzio
il gridare del suo dirotto pianto
del viandante turbava l'attenzione.
Che pensava forse al lamentarsi
dello spirito montano inchiodato
alla sua grotta antica, e il fine orecchio
tendeva e lo stanco destriero incalzava.

VI

Colma d'angoscia e di tremore, stava
Tamara spesso alla sua finestra
e con in testa un unico pensiero
con occhio attento guardava lontano:
e tutto il giorno, sospirando, aspetta...
A lei qualcuno mormora: verrà!

E non invano erano dolci i sogni,
e non invano egli appariva a lei,
con i suoi occhi colmi di tristezza
con tenera voce meravigliosa
da molti giorni ormai ella languisce
senza saperne lei stessa il motivo:
ora desidera pregare i santi,
ma il cuore manda la preghiera a Lui;
stremata dalla lotta quotidiana,
sul letto del riposo ora si corica:
il suo cuscino brucia. E soffoca
Tamara, ed ha paura, e trema tutta.
Ed il suo petto avvampa, e le sue spalle,
più non respira, negli occhi ha la nebbia,
avida attende che l'abbracci e stringa,
e sulla bocca si sciolgano baci...

VII

L'aereo mantello della sera
già ricopriva i colli della Georgia.
Obbedienti al suo dolce costume
al monastero Il Demone volava.
Per lungo tempo Egli non osò
turbare la santità di quel placido
e mite asilo. E ci fu un momento
in cui gli parve giusto abbandonare
il suo crudele intento. Eccolo errare,
nel suo pensiero assorto, presso il muro
del convento: e tremola una foglia
nell'aria senza il vento della sera.
Alla finestra splende una lucerna:
la guarda Il Demone. Tamara attende.
E nel silenzio dominante ascolta
lo spirito un suono di cingura
d'una canzone echeggiano le note,
i dolci e tristi suoni confluiscono,
come lacrime, in ritmo armonioso;
tenera e bella è la canzone, come
se per la terra l'avessero creata
musici angeli su nell'alto cielo!
E forse proprio un angelo bramava
di riveder l'amico di lontani
tempi remoti, e quaggiù volato
era furtivamente, e gli cantava
per consolarlo, del passare del tempo.
E solo allora Il Demone capì
l'angoscia dell'amore e l'emozione.
Voleva allontanarsi, nel terrore...
Ma non riusciva a muovere le sue ali!
E, che prodigio! Dai suoi spenti occhi
ecco che scese una lacrima di piombo.
Ancora oggi presso quella cella
sta la pietra trafitta dall'ardente,
dalla lacrima ardente come fiamma,
la lacrima dell'Angelo Perduto!...
la cingura è una specie di chitarra georgiana.

VIII

Ed Egli entra, è pronto ad amare,
con l'anima ad ogni bene aperta,
e pensa che di una vita nuova
è finalmente giunto il tempo atteso.
Il tremito confuso dell'attesa,
una paura silenziosa e incerta,
quasi fosse d'amore il primo incontro,
questo conobbe l'anima orgogliosa.

Era solo un triste presentimento.
Entra: e vede che davanti a lui stava,
messaggero del cielo, un cherubino,
aiuto per la bella peccatrice:
l'Angelo sta, col volto fiammeggiante
con l'ala la protegge dal nemico,
il suo sorriso è limpido e chiaro.
Della divina luce un raggio d'oro
l'impuro sguardo ad un tratto acceca,
così invece di un tenero saluto,
ascolta Il Demone una rampogna:

IX

"Spirito inquieto, spirito del Male,
chi ti ha chiamato nella notturna ora?
Non c'è nessuno qui dei tuoi devoti,
e qui il Male ancora non spira.
Non avanzare il criminoso passo
verso l'amore sacro, il mio amore.
Chi ti ha chiamato?"

Ed in rispost a lui
perfido rise l'Angelo Maligno,
E di gelosia arse il suo sguardo,
e di nuovo si risvegliò nell'anima
tutto il veleno del suo odio antico.

"Tamara è Mia!" -disse minaccioso-
"Lasciala stare, chè Tamara è Mia!
Troppo tardi apparisti, difensore,
suo giudice non sei, e neppur mio.
Sul mio cuore, ch'è gonfio di Superbia
già ho stampato il mio sigillo forte;
al tuo sacrale imperio qui non c'è posto,
questo è il mio regno, questo il mio amore!"

e l'Angelo del Cielo tristemente
volse gli occhi alla povera Tamara
e agitando tristemente l'ali
nell'etere celeste sprofondò.

X

Tamara:
Chi sei? è pericolosa la tua voce.
Vieni dal cielo o dall'inferno?
Che cosa vuoi da me?

Il Demone:
Tu sei bellissima!

Tamara:
Parlami dunque. Di' chi sei. Rispondi.

Il Demone:
Io sono Colui la cui voce ascoltavi,
tu, nel silenzio della mezzanotte,
il cui pensiero all'anima parlava,
la cui tristezza tu riconoscesti,
la cui immagine vedevi in sogno.
Il mio sguardo uccide ogni speranza;
Io son colui che nessuno può amare.
Dei miei terreni schiavi son la frusta,
sono Il Signore di Scienza e Libertà:
Nemico del Cielo, son della Natura
Il Male. E sono qui, ai piedi tuoi!
Per la tua tenerezza t'ho portato
la placida preghiera dell'amore,
il mio primo dolore sulla terra,
e le lacrime prime che ho versato.
Ascoltami, ti prego, per pietà.
Soltanto tu con la tua voce puoi
restituire me al bene e al Cielo.
Protetto dal mantello del tuo amore
a Me sarà concesso di salire
lassù, Angelo Nuovo in Nuova Luce;
O, ti prego: ascoltami soltanto:
Io sono il tuo schiavo. E ti amo!
Chè, non appena Io ti ho veduta,
nel mio cuore segreto ho odiato
la mia immortalità ed il potere.
E involontariamente ho invidiato
l'imperfetta gioia della gente;
ho provato il dolore di non vivere
come te, e l'orrore d'esserti lontano.
Un inatteso raggio nel mio cuore
più caldo e vivo di nuovo s'è acceso,
e la tristezza della ferita antica,
come un serpente, s'è mossa. Che importa
a me senza di te la vita eterna?
Dei miei possessi il numero infinito?
Solo vuote parole senza senso,
una vasto tempio, ma senza il Dio.

Tamara:
Lasciami dunque, o spirito maligno!
Come posso mai credere al nemico?
Aiutami, Signore! Ma non posso
pregare. Come un veleno misterioso
indebolisce ormai la mia mente!
Ascolta dunque, tu che mi uccidi:
le tue parole son veleno e fuoco...
Dimmi almeno per quale scopo tu mi ami!

Il Demone:
Perchè non so, bellissima Tamara.
Mi sento colmo di una nuova vita,
mi son tolto dall'ardita testa
la corona di spine della colpa,
in polvere ho gettato il mio passato:
l'Inferno e il Paradiso è nei tuoi occhi.
Di non terrestre passione Io ti amo.
Un tale amore ricambiar non puoi.
Con tutto il mio potere, con l'ebbrezza,
dell'Immortale mio pensiero e sogno.
Dal principio del mondo, a me nell'Anima,
sta impresso il sigillo del tuo volto:
il tuo volto lo vedevo a me davanti
nei deserti del sempiterno cielo.
Da tanto tempo inquieta la mia anima
la risonanza dolce del tuo nome.
Nei giorni della vita in Paradiso
soltanto tu mancavi, solo tu.
Magari tu comprendere potessi
quel mio languire amaro, la mia vita
tutta la vita per infiniti secoli,
di amara gioia e amara sofferenza.
Senza attendermi lodi per il male,
e senza ricompense per il bene,
per sé solo vivere, e nella noia,
e in questa lotta senza mai vittoria,
in questa lotta senza mai la pace!
Aver sempre rimpianti e non averli,
tutto sapere, sentire e vedere,
cercare di odiare sempre tutto
e disprezzare proprio tutto al mondo!...
E sol quando la condanna di Dio
fu pronunciata, proprio da quel giorno
per sempre gelidi per me divennero
della natura i caldi abbracci.
Era azzurro lo spazio a me davanti,
e io vedevo come adorne a nozze
le belle stelle, a me ben conosciute...
esse fluivano in corone d'oro;
ma che accadeva? l'antico fratello
nessuna di esse riconosceva.
Cominciai, nella mia disperazione,
gli altri proscritti ad invocare,
ma ahimè non riconobbi, Io Stesso,
se non volti, e voci, e maligni sguardi.
Pieno d'orrore mi slanciai, le mie ali
aprendo al volo: ma perchè? Ma dove?
Non sapevo: scacciato dagli amici
miei d'un tempo, come dall'antico Eden,
per Me divenne il mondo e muto e sordo.
Così al capriccio di onde e correnti
corre la barca danneggiata, senza
più alcuna vela e senza più timone,
e naviga senza saper la meta;
così sul fare del mattino, all'alba
un frammento di nube tempestosa
nel cielo azzurro, tutto nereggiante,
vola smarrito, e non trova sosta,
senza alcuno scopo e senza traccia:
e dove va lo sa soltanto Iddio!
Per qualche tempo ho guidato gli uomini,
tutti i peccati ho insegnato loro,
ogni nobile impresa ho calunniato,
ho denigrato ogni cosa bella;
Per breve tempo...e subito la fiamma
della pura fede ho spento in loro...
A che son valse queste mie fatiche
per questa gente sciocca e traditrice?
Mi nascosi così nelle profonde
grotte, oppure errai come meteora
nella profonda ombra della notte...
E galoppai in corsa solitaria
dalle vicine luci ingannato;
e caddi col cavallo negli abissi,
chiamando invano, e lasciando dietro,
sulle montagne, tracce sanguinose...
Ma del Male i tenebrosi diletti
mi piacquero solo per breve tempo!
In lotta col potente uragano,
come sovente, sollevando polvere,
rivestito di fulmini e di nebbia,
correvo tra le nubi con frastuono
per soffocar nella ribelle folla
degli elementi il ribollir del cuore,
per salvarmi da tormentosa idea,
per dimenticar ciò che non potevo!
Che importa ricordar la lunga serie
delle tragedie e dei dolori umani
passati, e del futuro: che mai sono
di fronte ad un minuto solo delle
mie ignorate, oscure sofferenze?
L'umanità? La vita, le fatiche?
L'uomo è passato e passerà ancora...
c'è una speranza forse: il suo giudizio:
Anche se condanna, forse perdona!
Ma la mia tristezza non può mutare,
come per me, essa non avrà mai fine;
e non potrà dormire in una tomba!
Ora come un serpente mi blandisce
ora mi brucia e frusta come fiamma
ora mi opprime, come una pietra,
sepolcro indistruttibile di tutte
le mie morte speranze e le passioni!

Tamara:
Perchè dovrei saper della tristezza
per cui con me ora ti lamenti e piangi?
Tu hai peccato...

Il Demone:
Contro di te, forse?

Tamara:
Ci possono sentire.

Il Demone:
Siamo soli.

Tamara:
E Dio?

Tamara:
Non ci degna nemmeno d'uno sguardo.
Il Cielo gli interessa, non la terra!

Tamara:
E i tormenti, le pene dell'Inferno?

Il Demone:
Che t'importa? Laggiù sarai con me.

Tamara:
Chiunque sia, mio casuale amico,
tu che vai distruggendo la mia pace,
pur non volendo, ma con gioia segreta,
o anima che soffre, io t'ascolto,
ma se la tua parola è maliziosa,
e se nascondi l'inganno nel cuore...
Ma perdonami. Quale gloria avresti?
Che può importare a te della mia anima?
Son forse al ciel più cara delle donne
che tu non hai degnato? Non sono esse
molto più belle della mia bellezza?
Nè mano d'un mortale ha sgualcito
neppure il loro letto verginale...
No! Dammi il tuo solenne giuramento...
Dimmi: tu vedi che anch'io soffro,
e tu conosci i sogni femminili!
Nell'anima fai sorgere il timore...
Ma tu capisci tutto e tutto sai:
E quindi deve aver pietà di me.
Giurami dunque: dalle seduzioni
maligne salvami, dà la promessa.
O forse non ci sono più promesse
nè inviolabili giuramenti?

Il Demone:
Per il primo giorno dell'universo
e per l'ultimo giorno del creato
lo giuro, e per la vergogna del crimine,
per il trionfo della verità,
per l'amaro dolor della caduta,
e per il breve sogno della vittoria;
lo giuro, per questo incontro con te,
e per il distacco che ci attende.
Lo giuro per tutta la moltitudine
di spiriti sottomessi a Me
e per le spade degli angeli insonni
senza passioni, che a me son nemici;
lo giuro per il Cielo e per l'Inferno
per il sacrario della terra e tuo,
lo giuro per un ultimo tuo sguardo,
per la tua prima lacrima lo giuro,
per il sospiro delle tue pure labbra,
per l'onda dei tuoi serici capelli,
lo giuro per la gioia e la sofferenza,
e lo giuro per tutto il mio amore:
il desiderio antico di vendetta
per sempre ho abbandonato, e la superbia;
il veleno di perfida lusinga
ma più non turberà le menti umane:
ormai col Cielo voglio far pace,
e voglio amare, e con la preghiera
voglio desiderare e fare il bene.
Con una lacrima di pentimento
cancellerò dalla mia fronte, degna
di te, le tracce del celeste fuoco,
e che tranquillo fiorisca il mondo
senza di me nell'ignoranza sua!
Credimi dunque, io soltanto, adesso
son giunto a te, e t'ho giudicata:
ho scelto te come il mio sacrario,
ed ai tuoi piedi ho posto il mio potere.
E come un dono attendo il tuo amore,
e ti darò, in cambio di un momento,
l'eternità. Credimi, Tamara,
Io nell'amore, come nell'odiare,
sono Immutabile, e sono Grande.
Te dunque Io, dell'Etere Figlio,
porterò nelle plaghe oltre le stelle,
dell'universo tu sarai regina,
mia prima amica, e senza rimpianti
e senza brama guarderai la terra,
dove non c'è felicità sincera,
nè bellezza che a lungo si mantenga,
la terra dei delitti e delle pene,
e soltanto di misere passioni,
dove non sanno, senza timore o ansia,
non sanno odiare, e non sanno amare.
Forse tu non sai che cos'è l'amore,
l'effimero amore della gente?
Del giovanile sangue l'emozione
e col tempo il raggelarsi del sangue?
Che cosa s'opporrà contro il distacco,
la tentazione d'una bellezza nuova,
contro la stanchezza, contro la noia,
e contro il sogno di un capriccio nuovo?
Ma non a te, mia cara amica, è dato
dalla sorte d'appassire silenziosa
come schiava di rozza gelosia,
e soffocare come in chiuso carcere,
fra gente pusillanime e fredda,
tra finti amici e fra nemici veri,
tra paure e sterili speranze,
tra inutili e gravose fatiche!
Senza passioni, non appassirai,
con la tristezza, dietro l'alto muro,
tra le preghiere, lontana ugualmente
dalla divinità e dalla gente.
O no, mia bellissima creatura,
ad altra sorte sei predestinata,
un'altra sofferenza ora t'attende,
nuove, diverse estasi profonde;
lascia dunque i tuoi vecchi desideri,
ed il misero mondo al suo destino:
l'abisso dell'ardita conoscenza
in cambio a te Io vorrò rivelare.

E ai piedi tuoi la folla Io condurrò
di tutti i Demoni a Me devoti,
e ti darò, bellissima Tamara,
aeree ancelle ed incantate;
e strapperò per te dalla stella
orientale la corona d'oro,
e prenderò dai fiori la rugiada,
e la corona bagnerò con questa,
e con il raggio del tramonto rosso
con un nastro circonderò il tuo corpo,
con il profumo puro degli aromi
l'aria che è intorno a te darò odorata,
sempre con una musica divina
il tuo udito cullerò, e luminosi
incantati palazzi costruirò,
palazzi fatti d'ambra e di turchese,
poi scenderò nel vortice del mare,
e volerò in alto, oltre le nubi,
e tutto ti darò, tutta la terra.
Amami dunque!...

XI

Mikhail Vrubel - Tamara and Demon

E lievemente con le
Sue ardenti Labbra sfiorò la bocca,
della fanciulla le tremanti labbra;
con le parole seduttrici Il Demone
alle preghiere di lei rispondeva.
Profondamente la guardò negli occhi!
E la bruciò. Nel buio della notte
su di lei la sua luce risplendeva
irresistibile: come un pugnale.
lo Spirito Maligno trionfava!
Il veleno mortale del suo bacio
subito entrò nel cuore di Tamara.
Un grido di tormento e di terrore
il silenzio notturno lacerò.
C'era l'amore in quel grido, e il dolore,
c'era il rimprovero e l'ultima prece,
e un saluto disperato, un addio
alla giovane vita ormai perduta.

XII

Proprio in quell'ora il guardiano di notte
solo, intorno alla muraglia erta
compiva silenzioso la sua ronda,
andava con la tavola di ghisa,
e rallentò il suo passo misurato
presso la cella della giovanetta.
Con l'animo turbato si fermò,
la mano sulla tavola di ghisa
e nel silenzio che regnava intorno
gli parve di sentire come il bacio
di due bocche frementi e innamorate,
un breve grido e un debole lamento.
E nel suo cuore sorse un dubbio,
un disonesto dubbio che svanì.
Ma fu soltanto un momento breve;
e tutto tacque: solo, di lontano
s'udiva appena soffiar un vento lieve,
che recava il mormorio di foglie.
E con l'oscura riva, con tristezza,
il montano ruscello sussurrava.
Recita il vecchio, tutto spaventato,
d'un santo martire la preghiera,
per cacciare dalla mente in peccato
lo Spirito Maligno ch'era dentro;
con le dita tremanti egli segna
il suo petto turbato da un pensiero
ed in silenzio con rapidi passi
la sua solita ronda ora prosegue.

XIII

Mikhail Vrubel - Death Tamara

Dolce come una peri addormentata
riposa la fanciulla nella bara,
e più bianco e più puro di un velo
era il pallore languido del volto.
Abbassate per sempre son le ciglia...
Ma chi poteva dire se lo sguardo
sotto le ciglia fosse addormentato,
o per prodigio forse s'attendesse
magari un bacio, oppure l'aurora?
Ma era inutile, il raggio del giorno
che come un'onda d'oro scivolava
sul suo bel volto e invano in una muta
tristezza quelle labbra ora baciava...
No: della morte il sigillo eterno
nessuno ormai poteva più strappare!

XIV

Mai fu così, nei giorni della gioia,
di così vari colori fiorito,
fu il festivo colore di Tamara.
I fiori della sua nativa valle
(così richiede il rituale antico)
versano su di lei il loro aroma,
e stretti fra le sue mani morte
sembra che voglian salutare la terra!
E non c'è sul suo volto segno alcuno
che dica della morte di Tamara
nell'acme della bellezza e dell'amore;
ed eran colmi i suoi lineamenti
d'una fredda, marmorea bellezza
senza espressione, e del tutto priva
di ogni sentimento e di ragione:
come la morte, piena di mistero.
Come un sorriso strano e freddo sulle
sue labbra si intravvedeva.
O, molte tristi cose che esso diceva
agli occhi che lo guardassero attenti:
c'era in esso un gelido disprezzo
dell'anima già pronta a sfiorire,
l'espressione dell'ultimo pensiero,
e un silenzioso addio alla terra,
della perduta vita il vano lampo.
Ella sembrava ancor più morta, ancora
senza alcuna speranza per il cuore,
negli occhi che per sempre s'eran spenti,
così nell'ora del tramonto splendido,
quando disciolto in quel mare d'oro
la carrozza del giorno s'è nascosta,
le nevi del Caucaso, per un momento,
un riflesso purpureo serbando,
risplendon nell'oscura lontananza;
ma quest'ultimo raggio non più vivo
non trova alcun riflesso nel deserto,
ed a nessun indicherà la strada
dalla sua altitudine ghiacciata!...

XV

E i vicini e i parenti in folla
son già riuniti per il triste viaggio.
Tormentandosi i canuti capelli
Gudàl si batte silenzioso il petto,
e per l'ultima volta ora sale
sul cavallo dalla criniera bianca,
ed il corteo si muove. Tre giorni
e tre notti durerà il cammino.
Tra le vecchie ossa degli antenati
hanno scavato a lei un tranquillo asilo.
Un avo di Gudàlm saccheggiatore
di pellegrini e di villaggi, quando
la malattia a letto l'inchiodò
e giunse a lui del pentimento l'ora,
a riscatto delle sue molte colpe
promise di erigere una chiesa
su quelle alte montagne di granito,
dove solo si sente la canzone
della bufera, e dove il nibbio vola.
E presto tra le nevi del Kazkek
s'innalzò un solitario tempio,
e lassù le ossa di quel malvagio
di nuovo ritrovarono la pace.
E la roccia, sorella delle nubi,
in un cimitero fu trasformata:
Come se, essendo al cielo più vicina,
fosse più calda la casa della morte...
come se più lontana dalla gente
l'ultimo sonno più non disturbasse...
Ma più non sognano i morti la gioia
o la tristezza dei passati giorni.

XVI

Nello spazio dell'etere azzurro
uno dei santi angeli volava,
volava con le sue ali d'oro
e tra le sue braccia egli portava
via dal mondo un'anima peccatrice.
E con dolci parole di speranza
tutti i suoi dubbi egli dissipava,
lavandole dal volto con le lacrime
della sua storia, del suo patir le tracce.
E di lontano già dal Paradiso
gli giungevano i canti, ma a un tratto
dall'abisso lo Spirito del Male
sorse, sul loro libero cammino.
Era Possente come tromba d'aria,
e come fulmine Egli risplendeva,
e nella sua follia ed arroganza
Egli gridò: "Tamara è solo Mia!".

Al petto del suo angelo stringendosi
l'orrore soffocò con la preghiera
l'anima peccatrice di Tamara.
Il suo futuro ora si decideva,
Egli stava davanti a lei di nuovo,
ma O Dio, chi lo riconosceva?
Or la guardava con Maligno Sguardo,
e ribollente del mortal veleno
del suo odio, un odio senza fine,
e dal suo Volto immobile spirava
il Gelido Orrore del Sepolcro.
"Sparisci, oscuro Spirito del dubbio!"
Gli rispose del Cielo il messaggero:
"Il tuo trionfo è stato troppo lungo;
è ora giunto il tempo del giudizio,
e del giusto decreto del Signore!
I tempi delle prove sono finiti;
le catene del Male sono cadute
dalla veste mortale di Tamara.
L'attendavamo ormai da molto tempo!
L'anima di Tamara era di quelle
la cui vita è un unico momento
di un insopportabile dolore,
e di mai raggiungibili diletti:
Il Creatore col più puro etere
le loro vive corde ha intessuto.
Per il mondo esse non furono create
e non per loro fu creato il mondo!
Essa pagò con un crudele prezzo
tutti i suoi dubbi ed i suoi errori...
Ma ha sofferto Tamara ed amato,
e all'amore si è aperto il paradiso".

Mikhail Vrubel - Fallen Demon

E l'angelo col suo severo sguardo
guardò negli occhi il Tentatore, e poi
agitando con gioia le sue ali
nell'azzurro del cielo sprofondò.
E maledisse Il Demone sconfitto
i suoi sogni di follia e di amore,
e di nuovo Egli rimase, altero,
nell'universo, e solo come prima,
senza speranza alcuna. E senza amore...!

Mikhail Vrubel - Fallen Demon

* * *

Sulla fiancata d'un roccioso monte
di Kojsauri sopra la vallata
s'ergono ancora fino ai nostri giorni
i frammenti d'un antica rovina.
Le tradizioni ancora sono piene
di fole che spaventano i bambini...
Come fantasma, memoria silenziosa
di quei tempi incantati, testimone,
tra gli alberi nereggian le rovine.
Il villaggio è disperso nella valle,
e la terra fiorisce e verdeggia;
lo scompigliato rombo delle voci
si perde, e lente carovane vanno,
vanno lontano, al suon dei campanelli.
E scintilla e schiumeggia il bel fiume
precipitando giù, fra l'alte nebbie.
E d'una vita eternamente giovane,
dalla frescura, del sole e primavera
gioisce qui, scherzando la natura,
come un bambino ch'è senza pensieri.

E' così triste quel castello, dopo
aver servito per così tanti anni,
come un vecchio che sia sopravvissuto
ai suoi amici e alla famiglia amata.
I suoi invisibili abitanti
attendon solo il sorgere della luna:
ed è la loro festa e libertà.
E corrono ronzando dappertutto.
Il canuto ragno, nuovo eremita,
tesse le basi delle sue reti.
Di lucertole verdi una famiglia
tra sul tetto lietamente gioca,
e striscia fuori il cauto serpente
dall'oscura fessura, sulla pietra,
sulla soglia del vecchio pianerottolo,
in tre anelli ora s'attorciglia,
ora giace come una lunga striscia
e brilla come una spada istoriata,
dimenticata sul campo di antiche
battaglie, inutile all'eroe caduto!...
Tutto è selvaggio, non ci sono tracce
dei passati anni. La mano del tempo
accuratamente li ha cancellati,
e niente più ci parla alla memoria
delle imprese del celebre Gudàl
e di Tamara, la sua cara figlia.

Mikhail Aleksandrovich Vrubel | Flying demon, 1890-1891 | The Pushkin State Museum of Fine Arts

Ma sull'erta montagna c'è una chiesa,
dove la terra serba le loro ossa,
dove un sacro potere le conserva.
E si vede la chiesa tra le nubi
ancor oggi, e alle sue porte stanno
le rocce nere di granito a guardia,
coperte dagli strati della neve;
sul loro petto, invece di corazze,
risplendono i ghiacci secolari.
Le masse sonnolente di valanghe
sono sospese al ciglio delle rocce
ome cascate che il gelo ha rinserrato:
e con cupo aspetto pare che attendano.
Come di guardia scorre la bufera
la polvere soffiando dalle mura,
ora riporta una canzone lunga,
ora sembra chiamar le sentinelle.
Ascoltan le notizie di lontano
sul tempio prodigioso, in quel paese,
solo le nubi vengono dall'oriente
e s'affrettano a porgere il saluto;
ma su tutte le pietre delle tombe
nessuno più si reca con dolore.

Il Demone | Viktor-D. Zamirajlo, 1868-1939

E del monte Kazbek la cupa roccia
ha in avida custodia la sua preda,
e dell'uomo l'eterno mormorare
la loro pace eterna più non turba.