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Gennaro Greco | Imaginary Architecture /Landscape painter

Gennaro Greco (1663-1714) also known as "Il Mascacotta", was an Italian painter of Figures, portraits, landscapes, landscapes with figures, architectural views, murals and veduta. Greco was a specialist in imaginary views (vedute ideate) showing architectural ruins.
Greco was born and worked in Naples. His son Vincenzo Greco also became a painter.
Greco was inspired to paint veduta after studying works by Andrea Pozzo. He died after a fall from scaffolding while working on a ceiling fresco in Nola in 1714. He is described by Dalbono as a painter of views of mutilated ruins.
























GRECO, Gennaro - Nacque a Napoli intorno al 1665, se si dà fede al racconto di De Dominici (p. 555), che lo dice morto nel 1714 non ancora cinquantenne. Secondo le antiche fonti, il Greco era conosciuto col soprannome di Mascacotta, a causa di una mostruosa bruciatura che, quand'era ancora bambino, gli aveva deturpato il viso (ibid.).
È probabile che egli avesse imparato il mestiere di pittore in una bottega locale, dove apprese l'arte di ornare volte e soffitti secondo la tradizione del quadraturismo. Al fine di perfezionare la sua tecnica, il Greco studiò il trattato di Andrea Pozzo, la Perspectiva pictorum et architectorum pubblicata a Roma nel 1693, che sistematizzava un codice di trattamento dello spazio per i pittori di "architetture". Questa specializzazione lo portò a collaborare con i maggiori decoratori del tardo barocco partenopeo, come Paolo De Matteis e Francesco Solimena, mettendolo spesso in concorrenza con Francesco Saracino, pittore, ingegnere e scenografo teatrale.
Nel 1696 il Greco si dedicò all'ornamento della volta della chiesa napoletana di S. Francesco Saverio, oggi S. Ferdinando, eseguendo i quattro estradossi degli archi che, tra il coro e la crociera, delimitano gli affreschi di De Matteis.
Si tratta di una curiosa decorazione a eleganti girali di acanto tra cui si inseriscono insolite forme irregolari che richiamano alla mente quelle del repertorio del più tardo rococò parigino.
Nella stessa chiesa tra il 1697-1698 il Greco decorò, a contorno dell'affresco di De Matteis sulla navata centrale, le lunette, le vele e le fasce di raccordo tra i finestroni e il soffitto con ornati ormai decisamente rocaille per la diversificazione e l'asimmetria delle forme, nonché per il delicato cromatismo in ocra con lumeggiature in oro.
Anche se non menzionato dalle fonti, è poi possibile riconoscere l'intervento del Greco nelle decorazioni della volta della farmacia della certosa di S. Martino, ancora una volta a ornamento di affreschi di De Matteis, realizzati nel 1699 (Spinosa, 1986, p. 75).
Secondo Orlandi (1733), il Greco era poi famoso e molto richiesto per la sua abilità nell'ideare apparati effimeri e macchine da festa. A questo proposito Onofrio Giannone (p. 181) dà notizia che il Greco eseguì in data imprecisata una macchina delle Quarant'ore per la chiesa del Gesù Nuovo a Napoli, per cui fu pagato 100 ducati.
Il Greco si sposò ben tre volte ed ebbe molti figli, dei quali sopravvisse solo Vincenzo, anch'egli pittore (De Dominici, p. 553).
Nel 1708 il Greco risulta iscritto alla corporazione dei pittori napoletani (Ceci). L'anno successivo fu forse attivo nella chiesa di S. Pietro a Siepi di Cava dei Tirreni, la cui decorazione, dispiegata tra la balaustra dell'organo e il grande soffitto ligneo, è stata a lui attribuita da Borrelli (1979).
La bizzarra sfilata di telamoni en grisaille che si sporgono dalle balaustre ricurve in un vertiginoso sottinsù è stata però anche avvicinata dalla scuola di decoratori d'interni che faceva capo a Michele Ricciardi (Lattuada).
Accanto all'attività di frescante, le fonti sono concordi nel ricordare che il Greco creava capricci architettonici, marine e paesaggi con rovine: De Dominici (p. 555) riporta infatti che egli "inventò varie architetture dirute, e altre magnifiche fabbriche e fece apparire eccellentemente luoghi sotterranei e carceri capricciose, con orride apparenze".
Si trattava di un genere che, introdotto a Napoli da François de Nomé (Monsù Desiderio) e Viviano Codazzi, aveva subito trovato un florido mercato grazie all'opera di artisti come Domenico Gargiulo, Ascanio Luciani, Giovanni Ghisolfi e Pietro Cappelli.
Della produzione "rovinista" del Greco si conoscono oggi numerosi dipinti a olio su tela, perlopiù di piccolo formato, che allo stato attuale degli studi è purtroppo impossibile distribuire in una corretta successione cronologica.
Tra quelli conservati in collezioni pubbliche spiccano le due Rovine del Museo Correale di Salerno che, insieme con i due Paesaggi del Museo Duca di Martina a Napoli, facevano parte di una serie di quattro vedute, affini per formato e tecnica pittorica, in origine forse appartenenti alla decorazione di uno stesso ambiente. Due lavori firmati sono conservati rispettivamente nel Musée des beaux-arts di Rouen (Ortolani, 1970) e nella Collezione Molinari Pradelli a Castenaso (Brogi, 1984); mentre altri esemplari sono segnalati da Blasio nel R. Museo delle belle arti di Copenaghen.
Fredericksen e Zeri (1972) hanno riconosciuto lo stile del Greco in due Fantasie architettoniche conservate all'Art Gallery dell'Università di Notre Dame nell'Indiana. Numerose sono poi le tele in collezioni private o apparse sul mercato antiquario (Voss; Ferrari, p. 17; Salerno, pp. 310 s.; Sestieri, 1991). In complesso sono opere condotte con notevole finezza, di lume chiaro e colorito prezioso, dove la rovina perde il significato di suggestione fantastica e misteriosa che ha nei quadri di Salvator Rosa, per acquistare la funzione di strumento prospettico in modi che sembrano strettamente collegati alle sperimentazioni condotte in quegli stessi anni nel campo della scenografia teatrale. La sua produzione, soprattutto per la stesura coloristica, parallelamente agli esiti di artisti come Angelo Maria Costa, venne a far da ponte in Napoli fra la tradizione seicentesca originata da Codazzi e le successive, ma assai più visionarie e drammatiche, invenzioni di Leonardo Coccorante.
Il Greco morì il 2 maggio 1714, a causa del crollo di un'impalcatura mentre stava affrescando la volta di un'imprecisata chiesa di Nola (Ceci).
Anche il figlio del Greco Vincenzo esercitò l'arte pittorica, ma non fu all'altezza del padre. Secondo Borrelli (1979) egli fu "ripetitore" di particolari ingranditi di opere di Leonardo Coccorante, come dimostrano quattro Rovine architettoniche della Galleria nazionale di Praga. Vincenzo morì nel 1737 "di febbre maligna" (De Dominici, p. 555). | di Alessandro Serafini © Treccani, Dizionario Biografico degli Italiani