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Annibale Carracci (Italian, 1560-1609)


Annibale Carracci, (born November 3, 1560, Bologna, Papal States [Italy] - died July 15, 1609, Rome), Italian painter who was influential in recovering the classicizing tradition of the High Renaissance from the affectations of Mannerism.
He was the most talented of the three painters of the Carracci family.
The sons of a tailor, Annibale and his older brother Agostino were at first guided by their older cousin Lodovico, a painter who persuaded them to follow him in his profession.
Annibale’s precocious talents developed in a tour of northern Italy in the 1580s, his visit to Venice being of special significance.


He is said to have lodged in that city with the painter Jacopo Bassano, whose style of painting influenced him for a time. Annibale may be credited with the rediscovery of the early 16th-century painter Correggio, who had been effectively forgotten outside Parma for a generation; Annibale’s Baptism of Christ (1585) for the Church of San Gregorio in Bologna is a brilliant tribute to this Parmese master.
Back in Bologna, Annibale joined Agostino and Lodovico in founding a school for artists called the Accademia degli Incamminati. The Enthroned Madonna with St. Matthew (1588) Annibale painted for the Church of San Prospero, Reggio, displays two of the most persistent characteristics of his art: a noble classicizing strain combined with a genial and bucolic tone.
By the time Annibale collaborated with the other two Carracci on frescoes in the Palazzo Magnani (now the Palazzo Salem; 1588–90) and two other noble houses in Bologna, he had become the leading master among them. His orderly and airy landscapes in these palaces helped initiate that genre as a principal subject in Italian fresco painting.
In 1595 Annibale went to Rome to work for the rich young cardinal Odoardo Farnese, who wanted to decorate with frescoes the principal floor of his palace, which was one of the most splendid in Rome. In that city Annibale turned eagerly to the study of Michelangelo, Raphael, and ancient Greek and Roman art in order to adapt the style he had formed in the artistic centres of northern Italy to his new surroundings.


Having decorated the Camerino (study) in the Palazzo Farnese, he was joined (1597) by Agostino in the chief enterprise of his career—painting the frescoes of the coved ceiling of the Galleria (1597–1603/04) with love fables from Ovid. These decorations, which interweave various illusions of reality in a way that was more complex even than Raphael’s famous paintings in the Vatican loggia, were a triumph of classicism tempered with humanity.
The powerfully modeled figures in these frescoes are set in a highly complex composition whose illusionistic devices represent an imaginative response to Michelangelo’s frescoes on the Sistine ceiling. Despite their elaborate organization, the frescoes are capable of direct appeal owing to their rich colours and the vigour and dynamism of their entire approach.
The Galleria Farnese soon became and remained a virtually indispensable study for young painters until well into the 18th century and was an especially rich feeding ground for the Baroque imaginations of Peter Paul Rubens and Gian Lorenzo Bernini, among others.
Annibale’s long and intense labours in the Palazzo Farnese had been dismally underpaid by Cardinal Farnese, and the painter never fully recovered from the ingratitude of his patron.


He quit work altogether on the Palazzo Farnese in 1605 but subsequently produced some of his finest religious paintings, notably Domine, Quo Vadis? (1601-02) and the Pietà (c. 1607). These works feature weighty, powerful figures in dramatically simple compositions.
The lunette-shaped landscapes that Annibale painted for the Palazzo Aldobrandini, especially the Flight into Egypt and the Entombment (both c. 1604), proved important in the subsequent evolution of the heroic landscape as painted in Rome by Domenichino and Nicolas Poussin. Annibale died in Rome after several years of melancholic sickness and intermittent production. | © Encyclopædia Britannica, Inc.

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La fortuna critica di Annibale Carracci fu ampia presso i suoi contemporanei, a partire dal giudizio di Giovanni Pietro Bellori che, nella sua prolusione all'Accademia di San Luca, raccolta nello scritto «L'idea del pittore, dello scultore, e dell'architetto» (1664), indicò in Annibale il miglior interprete dell'ideale di bellezza che è compito degli artisti perseguire. Bellezza che, nella visione del Bellori (che rimanda a concetti molto più risalenti e mostra un debito nei confronti delle teorie di Giovanni Battista Agucchi), deve sì partire dalla natura, ma deve elevarsi ad essa, non potendo l'artista, secondo questa impostazione, limitarsi alla sola riproduzione del reale quale esso appare agli occhi.
Per il Bellori, per l'appunto, l'opera del più giovane dei Carracci, e in particolare la sua produzione romana, è l'esempio da seguire per raggiungere questo obiettivo.


Elevato, così, a campione del bello ideale, il Carracci divenne il Nuovo Raffaello, cioè l'acme della pittura del suo tempo. Di pari passo, la sua opera - e in particolare gli affreschi della Galleria Farnese - assurse a testo imprescindibile nella formazione del gusto pittorico barocco.
Questo giudizio entrò in profonda crisi alla fine del Settecento e quasi per tutto l'Ottocento. In questo torno di tempo, Annibale Carracci divenne il caposcuola di quello che fu definito, a partire dal Winckelmann, eclettismo, concetto che assumerà sempre più valenza negativa. In sostanza, questo punto di vista degradò l'opera del Carracci alla sola fusione di stili diversi, negandogli vera capacità creativa.


Nel Novecento si assiste ad un lento e parziale recupero del valore di Annibale Carracci. Aprì questa rivalutazione Hans Tietze, storico di formazione viennese, che nel 1906 dedicò un saggio alla decorazione della Galleria Farnese, interrompendo così un lunghissimo silenzio critico sull'opera del maestro bolognese. Tappa ancor più significativa fu la pubblicazione da parte di Denis Mahon dei suoi Studies in Seicento Art and Theory, 1947.
Se questi studi ebbero il merito di riaccendere l'attenzione sull'arte del Carracci (ormai quasi dimenticata), essi, tuttavia, ne fornirono una visione in una certa misura deformante. Infatti, ponendosi in linea di continuità con l'antica visione belloriana, questo primo processo di rivalutazione individuò nell'Annibale Carracci "romano" il capofila della corrente classicista della pittura barocca italiana, antitetica alla corrente verista, il cui fondatore è Caravaggio. In tal modo, però, si obliterava la forte tensione al vivo da cui, a Bologna, anche Annibale era partito e che egli perseguì con decisione, specie negli anni antecedenti al suo trasferimento a Roma.


Si creò, così, una visione dicotomica della parabola artistica di Annibale Carracci, che scisse in termini piuttosto netti il periodo romano e classicista, contrassegnato dall'assimilazione di Michelangelo, di Raffaello e dell’antico, dagli anni bolognesi – tanto influenzati dalla pittura padana e veneziana e animati da una forte tensione verista – che vennero sostanzialmente minimizzati come esperienze giovanili, superate, poi, dall'artista una volta giunto a Roma.
La mostra sui Carracci, tenutasi a Bologna nel 1956 presso il palazzo dell'Archiginnasio, favorì un primo recupero critico anche dell'attività pre-romana di Annibale, ma rimase fermo il topos storiografico che vedeva nella sua vicenda creativa una drastica soluzione di continuità – da verista “lombardo” a classicista raffaellesco – conseguente al suo approdo sulle sponde del Tevere. Anche la fondamentale monografia di Donald Posner (1971), benché testo per molti versi ancora imprescindibile per lo studio di Annibale Carracci, avallò (e consolidò) questa concezione.


Solo in tempi relativamente vicini, anche riprendendo un'intuizione di Roberto Longhi formulata già nel 1934, si è andata delineando una valutazione critica più matura dell'opera del più giovane dei Carracci. Giudizio che coglie la sua grandezza nell'aver Annibale saputo inventare uno stile propriamente italiano, armonizzando le tante strade indicate dalle scuole locali che lo hanno preceduto e riuscendo, il tempo stesso, ad evitare che questo programma artistico si risolvesse in una sterile riproposizione del passato. Anzi, aprendo le porte ad una nuova era della storia dell'arte: il barocco.
In questa chiave, benché il lungo, definitivo, soggiorno a Roma ne abbia naturalmente influenzato e arricchito lo stile, minor credito ha l'idea di una drastica cesura tra Bologna e Roma, anche perché, come gli studi più recenti stanno acquisendo, il trasferimento nella città dei papi non significò affatto l'abbandono, da parte di Annibale, dei suoi modelli settentrionali, né, almeno in parte, della sua ricerca realista.


In questa stessa chiave, anche il luogo comune di un Annibale Carracci in tutto antitetico all'altro gigante della pittura italiana del primo Seicento, Michelangelo Merisi, inizia ad essere oggetto di rivisitazione critica, cogliendosi tra i due maestri – pur tra le evidenti e profonde differenze di stili, di interessi artistici e di traiettorie umane e creative - anche punti di contatto e reciproche influenze, percepibli soprattutto durante l'iniziale soggiorno romano di entrambi che fu quasi contemporaneo. Anni durante i quali, a Roma, opere come gli affreschi della Galleria Farnese o il Ciclo di san Matteo della Cappella Contarelli segneranno per i secoli a venire la pittura d'Italia e d'Europa. | © Wikipedia