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Gustave Caillebotte | Attività collezionistica

Dopo che nel 1876 il fratello minore René lo ammonì dell'inesorabile brevità della vita, Caillebotte - intimamente turbato - dispose il suo testamento a soli ventotto anni.
Una delle clausole ivi previste, in particolare, contemplava un lascito della sua intera collezione artistica al governo francese. Caillebotte, infatti, fu uno dei più convinti collezionisti di pitture impressioniste e, qualora ne avesse l'opportunità, non esitava ad aiutare i suoi colleghi acquistandone le opere.
Pian piano arrivò ad accumulare opere d'arte di vari artisti a lui contemporanei: Camille Pissarro (diciannove), Claude Monet (quattordici), Pierre-Auguste Renoir (dieci), Alfred Sisley (nove), Edgar Degas (sette), Paul Cézanne (cinque) ed Édouard Manet (quattro).



Alla morte di Caillebotte gli Impressionisti erano velenosamente osteggiati dall'establishment artistico, ancora deferente ai convenzionalismi promossi dall'Académie des beaux-arts. Prevedendo con saggezza i futuri sviluppi dell'arte francese Caillebotte seppe provvedervi in tempo e nel proprio testamento scrisse:
«Io dono allo Stato i dipinti che possiedo; tuttavia, siccome voglio che questo dono sia accettato nella misura in cui le opere non finiscano in una soffitta o in un museo di provincia, ma finiscano prima al Luxembourg e poi al Louvre, è necessario che trascorra un po' di tempo prima che questa clausola venga eseguita, e cioè fino al momento in cui il pubblico non dico che capirà queste opere, ma almeno le accetterà» - Gustave Caillebotte.
Con mirabile lungimiranza, dunque, Caillebotte ordinò che i dipinti impressionisti non venissero dimenticati «in una soffitta od in un museo di provincia», e perciò dispose affinché venissero consacrati all'ufficialità del palazzo del Lussemburgo, per poi entrare a far parte del patrimonio artistico del Louvre.
L'esecuzione del lascito testamentario di Caillebotte, com'è d'altronde prevedibile, fu ricca di difficoltà e imprevisti: all'epoca, infatti, vigeva un vivo contrasto tra l'arte viva ed i poteri ufficiali, e furono in molti a protestare rumorosamente contro l'ingresso delle opere impressioniste nelle collezioni statali, ritenendolo «un'offesa alla nostra scuola».
Dietro queste virulente polemiche serpeggiava la malcelata paura di un riconoscimento ufficiale di quelle opere così bistrattate dalla critica ufficiale ma che, se esposte in un museo prestigioso come il Louvre, sarebbero inevitabilmente andate incontro ad uno sfolgorante successo.


Dopo tre anni di complicate trattative, durante i quali Renoir in veste di esecutore testamentario trattò insieme ad altri intellettuali francesi per la stipula del negoziato, lo Stato Francese rispettò (anche se parzialmente) le volontà di Caillebotte ed accettò parte dei dipinti nel proprio patrimonio collezionistico: ben sei Renoir (tra cui la Liseuse, l'Altalena, il Bal au moulin de la Galette), otto Monet (tra cui la Gare Saint-Lazare e le Barche, Regate ad Argenteuil), sette Pissarro (tra cui i Tetti rossi), due Manet, sei Sisley, due Cézanne (tra cui l’Estaque) e sette Degas entrarono dunque a far parte di una raccolta pubblica.
Questa collezione nel 1937 sarebbe poi andata a formare la base del Museo del Jeu de Paume, la celebre succursale impressionista del Louvre, per poi essere trasferiti nel 1986 nel museo d'Orsay, il museo parigino dedicato all'arte del XIX secolo. | © Wikipedia