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Odoardo Borrani | Macchiaioli painter


Odoardo Borrani (22 August 1833 - 14 September 1905) was an Italian painter associated with the Macchiaioli group.
He was born in Pisa. The Borrani family moved to Florence, where Odoardo enrolled at the Academy of Fine Arts in 1853.
There, he studied under Gaetano Bianchi, Giuseppe Bezzuoli and Enrico Pollastrini. However, he became independent of the academic styles.
His first painting while at the Academy was titled Un veglione di maschere alla Pergola.
In 1859, he painted Lorenzo the Magnificent Saves Himself From Being Murdered in the Sacristy of the Cathedral, an episode of the Pazzi Conspiracy.


For this painting. Borrani was awarded the Gold medal by the contest of the Accademia of Florence.
That same year, he joined the army and upon returning from the short campaign, he painted the Cadaver of Jacopo de' Pazzi and Michelangelo Directs the Fortification of Florence.

It was with his new friends Telemaco Signorini and Vincenzo Cabianca that he took up painting from life and came into contact with the Macchiaioli group gravitating around the Caffè Michelangiolo.
He served as a volunteer in the Second Italian War of Independence in 1859.
In 1862, together with Giuseppe Abbati, Silvestro Lega, Raffaello Sernesi and Signorini, he went to work in the countryside outside Florence near Piagentina, in consequence of which these painters became known as the school of Piagentina.


It was also in 1862 that he first spent the summer at Castiglioncello, as the guest of the critic Diego Martelli.
In 1875 he and Lega established a gallery to promote younger artists, but it soon went out of business.
He exhibited less frequently in his later years, and made his living as a teacher, ceramic decorator and graphic artist for L’Illustrazione Italiana.
He died of peritonitis in Florence on 14 September 1905.























BORRANI Odoardo (1833-1905) - Nato a Pisa, in famiglia fiorentina, il 22 ag. 1833 da David e Leopolda Ugolini; nel 1840 era a Firenze, e in questa città operò per tutta la sua vita.
Lo avviò all'arte il padre, mediocre pittore, che molto presto lo mise a studio presso G. Bianchi, artista che, pur avendo ottenuto discreti successi con dipinti di soggetto storico, si dedicava anche al restauro.
Accanto a lui il Borrani, sedicenne, ebbe modo di conoscere bene l'arte del '300 e del '400, proprio in un momento in cui i "primitivi" erano di viva attualità nell'ambiente purista, ingresiano, che in Firenze faceva capo al Mussini.


Certi suoi disegni giovanili (Cecchi, 1926) documentano il fervore di quegli anni (1850-55 circa). Gli era accanto il Signorini, più giovane di un anno, spiritualmente più interessato a quanto stava accadendo nel campo dell'arte; con lui e col Cabianca il Borrani compì i primi esperimenti dal vero (andavano a dipingere sul Pian del Mugnone), pur frequentando ancora lo studio dell'accademico Pollastrini, dove si esercitava attentamente e diligentemente nella pittura storico-aneddotica.
Nel 1855 ottenne consensi con Un veglione al teatro della Pergola (Milano, coll. Pontremoli), che può sembrare una quasi ingenua dimostrazione di bravura di un giovane dotato che tenta di mettere a frutto quanto ha appreso nelle più impegnative discipline artistiche (prospettiva, effetti di luce): i colori sono accesi, quasi stridenti, con predominio del rosso, ben lontani ancora dalle limpide campiture che gli saranno, poco dopo, suggerite dal vero.


Uomo di punta - esuberante, intemperante - di quel sodalizio di giovani geniali che al caffè Michelangelo discuteva, e poi all'aria aperta sperimentava, le novità parigine di cui avevano dato notizia S. De Tivoli e S. Allamura, entusiasta del ton gris così diverso dal colorire vivace dei pittori di storia contemporanei, anch'egli cercò di aiutarsi, di fronte al vero, "con lo specchio nero, che decolorando il variopinto aspetto della natura permette di afferrare più prontamente la totalità del chiaroscuro, la macchia" (D. Martelli, Scritti d'arte, a cura di A. Boschetto, Firenze 1952, p. 204).


La pittura del Borrani non si trasformò da un giorno all'altro: nel 1858 dipingeva ancora. per consiglio di Pollastrini e documentandosi sugli scritti di N. Valori e di W. Roscoe, la Congiura dei Pazzi.
La guerra del '59, alla quale egli partecipò volontario in artiglieria, gettò lo scompiglio in questo gruppo di giovani, ma non distolse il Borrani dai suoi prediletti studi sul vero, anzi li stimolò e vitalizzò.


Il primo dei tre taccuini di viaggio (già nella coll. M. Galli di Firenze; v. Cecchi, 1925-26) si riferisce proprio agli anni 1858-59 e documenta i suoi slanci patriottici e il suo temperamento semplice, schietto, istintivo.
Ritornato dalla guerra, il Borrani si ritirò con Sernesi a lavorare sui monti di San Marcello Pistoiese, dove realizzò, tra gli altri, quei dipinti che comparvero, e furono premiati, all'Esposizione di Firenze del 1861: Un motivo a S. Marcello, La raccolta del grano sull'Appennino (Milano, coll. Jucker), Una giovinetta che cuce il tricolore alla vigilia della rivoluzione toscana del 26 aprile 1859. Soggetti ben lontani, anche l'ultimo, dal quadro storico tradizionale.


È il principio di verità che ora gli è di guida.
Il Borrani deve aver osservato con occhi ammirati un quadro dipinto da Degas, a Firenze, tra il 1859-1860, quella Famiglia Bellelli (ora al Louvre) cui sembra riferirsi in molte sue composizioni di interni con figure eseguite negli anni successivi (si veda Camicie rosse del 1863, Firenze, coll. Bruno); un realismo classico, statico, ancora vagamente ingresiano, rinvigorito da un cromatismo più denso e intenso e da uno stupore muto, fermo nell'atmosfera.


Nel 1861 Signorini era stato a Parigi, dove aveva avuto modo di vedere la pittura di Corot e di Troyon, di cui aveva parlato poi con entusiasmo, al ritorno, all'amico Borrani; questi ora va a dipingere poco lontano da Firenze, a Pergentina, con Lega, Abbati e Semesi; con Lega specialmente, del quale diverrà tanto amico da tentare insieme con lui, più tardi (1876), di fare fortuna aprendo una galleria d'arte nel palazzo Ferroni di Firenze, dove era stato il Gabinetto Vieusseux.


Intorno al 1865 "comincia il più bel periodo della vita artistica del Borrani... egli prende una casetta in campagna, fuori la porta alla Croce di Firenze, dove rimane fisso per il corso di otto anni, lontano da ogni distrazione, tutto raccolto negli studi dell'arte" (Cecioni).
Nascono, in questo clima, dipinti come Primizie, Casae marina a Castiglioncello (Milano, collez. Laureato di Gesù), Gruppo di donne che cuciono (Firenze, collez. E. Bruno), Scena domestica in giardino (già coll. Checcucci, a Firenze), In terrazza (1872), caratterizzati da freschi e netti effetti di luce che collocano il Borrani, meritatamente, tra le avanguardie della pittura di macchia.
Il secondo taccuino di disegni (Cecchi 1925-26) documenta la felicità creativa di quegli anni (1867-1872); sono appunti dal vero per alcuni dei dipinti ricordati, disegni sottili ma solidi, immagini agresti e domestiche di vita semplice intensamente amata. Le cose, le figure, sono fasciate di calda cordialità, senza ricerche di sintesi, senza sfaccettature geometriche.


Il terzo quaderno si riferisce agli anni 1883-1887: schizzi, studi eseguiti a Roma (1883), Rimini, Firenze (1887), San Rossore: visioni di paese e spunti decorativi.
Dopo il 1880 l'arte del Borrani lentamente declina, con cedimenti a volta paurosi; la predilezione per i contrasti di luce lo porta verso esperienze (come nella Ragazza con la candela della Gall. d'Arte Moderna di Milano) che fanno pensare ai Fiamminghi del '600 o, tra gli Italiani, all'Inganni: un'involuzione. L'aggettivazione si accentua spesso noiosamente; dopo le geniali impennate giovanili egli diventa "un pittore borghese... che si adagia in una visione tepida del vero" (Cecchi 1925-1926).
Questo vale anche per molti ritratti più tardi, alcuni riuniti a formare composizioni, quadri di genere, come nella nota Veglia del 1887(disegno preparatorio a grandezza naturale presso la Galleria Ricci Oddi di Piacenza).


Nel paesaggio inserisce, a volte, la fatica dell'uomo, come nei Renaiuoli sul Mugnone del 1880 (Firenze, Gall. d'Arte Moderna), un dipinto impegnato, di "cronaca sociale", che non raggiunge la purezza mattutina di certe tavolette anteriori al 1870.
Ma nei momenti migliori, anche nel ritratto il Borrani riesce a raggiungere il capolavoro: quello della Figlia (Finalmarina, coll. Caviglia) nulla ha da invidiare, per valori formali, al famoso Mugnone della Galleria Naz. d'Arte Moderna di Roma o alla freschissima Marina di Castiglioncello della collez. Angiolini di Livorno.
Dopo il fallimento dell'iniziativa presa con Lega di creare la Galleria dei Macchiaioli al palazzo Ferroni, il Borrani, per vivere, adattò il suo studio a scuola privata di pittura, che tenne fino alla morte, avvenuta a Firenze il 14 sett. 1905. | Ferdinando Arisi © Treccani, Dizionario Biografico degli Italiani