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Leonardo da Vinci | Del color verde fatto dalla ruggine di rame

Trattato della Pittura - Parte seconda | Capitoli 186-216


Indice
186. Dell'accompagnare i colori l'uno con l'altro, in modo che l'uno dia grazia all'altro.
187. Del far vivi e belli i colori nelle tue pitture.
188. De' colori delle ombre di qualunque colore.
189. Delle varietà che fanno i colori delle cose remote o propinque.
190. In quanta distanza si perdono i colori delle cose integralmente.
191. In quanta distanza si perdono i colori degli obietti dell'occhio.
192. Colore d'ombra del bianco.
193. Qual colore farà ombra piú nera.
194. Del colore che non mostra varietà in varie grossezze d'aria.
195. Della prospettiva de' colori.


196. Del colore che non si muta in varie grossezze d'aria.
197. Se i colori varî possono parere di una uniforme oscurità mediante una medesima ombra.
198. Della causa de' perdimenti de' colori e figure de' corpi mediante le tenebre che paiono e non sono.
199. Come nessuna cosa mostra il suo vero colore, se essa non ha lume da un altro simil colore.
200. De' colori che si dimostrano variare dal loro essere mediante i paragoni de' loro campi.
201. Della mutazione de' colori trasparenti dati o misti sopra diversi colori con la loro diversa relazione.
202. Qual parte di un medesimo colore si dimostra piú bella in pittura.
203. Come ogni colore che non lustra è piú bello nelle sue parti luminose che nelle ombrose.
204. Dell'evidenza de' colori.
205. Qual parte del colore ragionevolmente deve esser piú bella.
206. Come il bello del colore dev'essere ne' lumi.
207. Del color verde fatto dalla ruggine di rame.
208. Aumentazione di bellezza nel verderame.
209. Della mistione de' colori l'uno con l'altro, la qual mistione si estende verso l'infinito.
210. Della superficie d'ogni corpo ombroso.
211. Qual è la superficie piú ricettiva di colori.
212. Qual parte del corpo si tingerà piú del colore del suo obietto.
213. Qual parte della superficie de' corpi si dimostrerà di piú bel colore.
214. Delle incarnazioni de' volti.
215. Modo per ritrarre di rilievo e preparare la carta per questo.
216. Della varietà di un medesimo colore in varie distanze dall'occhio.

186. Dell'accompagnare i colori l'uno con l'altro, in modo che l'uno dia grazia all'altro.

Se vuoi fare che la vicinità di un colore dia grazia all'altro che con quello confina, usa quella regola che si vede fare ai raggi del sole nella composizione dell'arco celeste, per altro nome iris, i quali colori si generano nel moto della pioggia, perché ciascuna gocciola si trasmuta nella sua discesa in ciascuno de' colori di tale arco, come sarà dimostrato al suo luogo.
Ora attendi, che se tu vuoi fare un'eccellente oscurità, dàlle per paragone un'eccellente bianchezza, e cosí l'eccellente bianchezza farai con la massima oscurità; ed il pallido farà parere il rosso di piú focosa rossezza che non parrebbe per sé in paragone del paonazzo; e questa tal regola sarà piú distinta al suo luogo. Resta una seconda regola, la quale non attende a fare i colori in sé di piú suprema bellezza che essi naturalmente sieno, ma che la compagnia loro dia grazia l'uno all'altro, come fa il verde al rosso, e il rosso al verde, come fa il verde con l'azzurro.
Ed evvi un'altra regola generativa di disgraziata compagnia, come l'azzurro col giallo, che biancheggia, o col bianco e simili, i quali si diranno al suo luogo.

187. Del far vivi e belli i colori nelle tue pitture.

Sempre a quei colori che tu vuoi che abbiano bellezza preparerai prima il campo candidissimo; e questo dico de' colori che sono trasparenti, perché a quelli che non sono trasparenti non giova campo chiaro; e l'esempio di questo c'insegnano i colori de' vetri, i quali, quando sono interposti infra l'occhio e l'aria luminosa, si mostrano di eccellente bellezza, il che far non possono avendo dietro a sé l'aria tenebrosa o altra oscurità.

188. De' colori delle ombre di qualunque colore.

Il colore dell'ombra di qualunque colore sempre partecipa del colore del suo obietto, e tanto piú o meno quanto esso obietto è piú vicino o remoto da essa ombra, e quanto esso è piú o meno luminoso.

189. Delle varietà che fanno i colori delle cose remote o propinque.

Delle cose piú oscure che l'aria, quella si dimostrerà di minore oscurità la quale sarà piú remota; e delle cose piú chiare che l'aria, quella si dimostrerà di minor bianchezza che sarà piú remota dall'occhio. Le cose piú chiare e piú oscure che l'aria in lunga distanza scambiano colore, perché la chiara acquista oscurità e l'oscura acquista chiarezza.

190. In quanta distanza si perdono i colori delle cose integralmente.

I colori delle cose si perdono integralmente in maggiore o minor distanza, secondo che l'occhio e la cosa veduta saranno in maggiore o minore altezza.
Provasi per la settima di questo, che dice: l'aria è tanto piú o meno grossa, quanto essa sarà piú vicina o remota dalla terra. Adunque, se l'occhio e la cosa da esso veduta saranno vicini alla terra, allora la grossezza dell'aria interposta fra l'occhio e la cosa sarà grossa e impedirà assai il colore della cosa veduta da esso occhio.
Ma se tal occhio insieme con la cosa da lui veduta saranno remoti dalla terra, allora tale aria occuperà poco il colore del predetto obietto.


191. In quanta distanza si perdono i colori degli obietti dell'occhio.

Tante sono le varietà delle distanze nelle quali si perdono i colori degli obietti quanto sono varie le età del giorno, e quante sono le varietà delle grossezze o sottilità dell'aria, per le quali penetrano all'occhio le specie de' colori de' predetti obietti. E di questo non daremo al presente altra regola.

192. Colore d'ombra del bianco.

L'ombra del bianco veduto dal sole e dell'aria ha le sue ombre traenti all'azzurro; e questo nasce perché il bianco per sé non ha colore, ma è ricetto di qualunque colore; e per la quarta di questo, che dice: la superficie d'ogni corpo partecipa del colore del suo obietto, egli è necessario che quella parte della superficie bianca partecipi del colore dell'aria suo obietto.

193. Qual colore farà ombra piú nera.

Quell'ombra parteciperà piú del nero, che si genererà in piú bianca superficie, e questo avrà maggior proporzione di varietà che nessun'altra superficie; e questo nasce perché il bianco non è connumerato infra i colori, ed è ricettivo d'ogni colore, e la superficie sua partecipa piú intensamente de' colori de' suoi obietti che nessun'altra superficie di qualunque colore, e massime del suo retto contrario, che è il nero o altri colori oscuri, dal quale il bianco è piú remoto per natura; e per questo pare ed è gran differenza dalle sue ombre principali ai lumi principali.

194. Del colore che non mostra varietà in varie grossezze d'aria.

Possibile è che un medesimo colore non faccia mutazione in varie distanze, e questo accadrà quando la proporzione delle grossezze dell'aria e le proporzioni delle distanze che avranno i colori dall'occhio sia una medesima, ma conversa.


Provasi: a sia l'occhio, h sia un colore qual tu vuoi, posto in un grado di distanza remoto dall'occhio, in aria di quattro gradi di grossezza; ma perché il secondo grado di sopra amnl ha la metà piú sottile, l'aria portando in essa il medesimo colore, è necessario che tal colore sia il doppio piú remoto dall'occhio che non era prima; adunque porremo i due gradi af ed fg discosto dall'occhio, e sarà il colore g; il quale poi alzando nel grado di doppia sottilità alla seconda manl, che sarà il grado ompn, egli è necessario che sia posto nell'altezza e, e sarà distante dall'occhio tutta la linea ae, la quale si prova valere in grossezza d'aria quanto la distanza ag, e provasi cosí: se ag, distanza interposta da una medesima aria infra l'occhio e il colore, occupa due gradi e mezzo, questa distanza è sufficiente a fare che il colore g alzato in e non varii di sua potenza, perché il grado ac e il grado af, essendo una medesima grossezza d'aria, sono simili ed eguali, ed il grado cd, benché sia eguale in lunghezza al grado fg, non è simile in grossezza d'aria, perché gli è mezzo nell'aria di doppia grossezza all'aria di sopra, della quale un mezzo grado di distanza occupa tanto il colore, quanto si faccia un grado intero dell'aria di sopra, che è il doppio piú sottile che l'aria che gli confina di sotto.

Adunque, calcolando prima le grossezze dell'aria e poi le distanze, tu vedrai che i colori variati di sito non avranno mutato di bellezza; e diremo cosí per la calcolazione della grossezza dell'aria il colore h è posto in quattro gradi di grossezza d'aria; g colore è posto in aria di due gradi di grossezza; e colore si trova in aria di primo grado di grossezza.

Ora vediamo se le distanze sono in proporzione eguale, ma conversa.

Il colore e si trova distante dall'occhio a due gradi e mezzo di distanza; il g due gradi, l'h un grado; questa distanza non si scontra con la proporzione della grossezza; ma è necessario fare una terza calcolazione, e quest'è che ti bisogna dire: il grado ac, come fu detto di sopra, è simile ed eguale al grado af, ed il mezzo grado cd è simile ma non eguale al grado ac, perché è un mezzo grado di lunghezza, il quale vale un grado intero dell'aria di sopra. Adunque la calcolazione trovata satisfa al proposito, perché ac vale due gradi di grossezza dell'aria di sopra ed il mezzo grado cd ne vale uno intero d'essa aria di sopra, cosicché abbiamo tre gradi in valuta d'essa grossezza di sopra ed uno ve n'è dentro, cioè be esso quarto.
Seguita: ah ha quattro gradi di grossezza d'aria; ag ne ha ancora quattro, cioè af ne ha due ed fg due altri, che fan quattro; ae ne ha ancora quattro, perché ac ne tiene due ed uno cd, che è la metà di ac e di quella medesima aria, ed uno intero ne è di sopra nell'aria sottile, che fa quattro.

Adunque, se la distanza ae non è dupla dalla distanza ag, né quadrupla dalla distanza ah, essa è restaurata dal cd, mezzo grado d'aria grossa, che vale un grado intero dell'aria piú sottile che gli sta di sopra. E cosí è concluso il nostro proposito, cioè che il colore hge non si varia per varie distanze.

195. Della prospettiva de' colori.

D'un medesimo colore posto in varie distanze ed eguali altezze, tale sarà la proporzione del suo rischiaramento, quale sarà quella delle distanze che ciascuno di essi colori ha dall'occhio che li vede.


Provasi, e sia che ebcd sia un medesimo colore; il primo, e, sia posto due gradi di distanza dall'occhio a; il secondo, che è b, sia discosto quattro gradi; il terzo, che è c, sia sei gradi; il quarto, che è d, sia otto gradi, come mostrano le definizioni de' circoli che si tagliano sulla linea, come si vede sopra la linea ar; dipoi arsp sia un grado d'aria sottile; sp e t sia un grado d'aria piú grossa: seguirà che il primo colore e passerà all'occhio per un grado d'aria grossa, es, e per un grado d'aria men grossa sa, ed il colore b manderà la sua similitudine all'occhio a per due gradi d'aria grossa, e per due della men grossa; ed il c la manderà per tre della grossa e per tre della men grossa; ed il colore d per quattro della grossa e per quattro della men grossa.

E cosí abbiamo provato qui tale essere la proporzione delle diminuzioni de' colori, o vuoi dire perdimenti, quale è quella delle loro distanze dall'occhio che li vede; e questo solo accade ne' colori che sono d'eguale altezza, perché in quei che sono di altezze ineguali non si osserva la medesima regola, per esser loro in arie di varie grossezze, che fanno varie occupazioni ad essi colori.

196. Del colore che non si muta in varie grossezze d'aria.

Non si muterà il colore posto in diverse grossezze d'aria, quando sarà tanto piú remoto dall'occhio l'uno che l'altro. Provasi cosí: se la prima aria bassa ha quattro gradi di grossezza, ed il colore sia distante un grado dall'occhio, e la seconda aria piú alta abbia tre gradi di grossezza, ché ha perso un grado, fa che il colore acquisti un grado di distanza; e quando l'aria piú alta ha perso due gradi di grossezza, ed il colore ha acquistato due gradi di distanza, allora tale è il primo colore qual è il terzo: e per abbreviare, se il colore s'innalza tanto ch'entri nell'aria, che abbia perso tre gradi di grossezza, ed il colore s'è discostato tre gradi di distanza, allora tu ti puoi render certo che tal perdita di colore ha fatto il colore alto e remoto, quanto il colore basso e vicino; perché se l'aria alta ha perduto i tre quarti della grossezza dell'aria bassa, il colore nell'alzarsi ha acquistato i tre quarti di tutta la distanza, per la quale esso si trova remoto dall'occhio. E cosí abbiamo provato l'intento nostro.

197. Se i colori varî possono parere di una uniforme oscurità mediante una medesima ombra.

Possibile è che tutte le varietà de' colori d'una medesima ombra paiano tramutate nel colore d'essa ombra.
Questo si manifesta nelle tenebre della notte nubilosa, nella quale nessuna figura o colore di corpo si comprende; e perché tenebre altro non sono che privazione di luce incidente o riflessa, mediante la quale tutte le figure ed i colori de' corpi si comprendono, egli è necessario che, tolta integralmente la causa della luce, manchi l'effetto e la cognizione de' colori e delle figure dei predetti corpi.

198. Della causa de' perdimenti de' colori e figure de' corpi mediante le tenebre che paiono e non sono.

Molti sono i siti in sé illuminati e chiari che si dimostrano tenebrosi ed al tutto privati di qualunque varietà di colori e figure delle cose che in essi si trovano: questo avviene per causa della luce dell'aria illuminata che infra le cose vedute e l'occhio s'interpone, come si vede dentro alle finestre che sono remote dall'occhio, nelle quali solo si comprende una uniforme oscurità assai tenebrosa; e se tu entrerai poi dentro a essa casa, tu vedrai quelle essere in sé forte illuminate, e potrai speditamente comprendere ogni minima parte di qualunque cosa dentro a tal finestra che trovar si potesse.
E questa tal dimostrazione nasce per difetto dell'occhio, il quale, vinto dalla soverchia luce dell'aria, ristringe assai la grandezza della sua pupilla, e per questo manca assai della sua potenza: e ne' luoghi piú oscuri la pupilla si allarga, e tanto cresce di potenza, quanto essa acquista di grandezza, com'è provato nel secondo della mia prospettiva.

199. Come nessuna cosa mostra il suo vero colore, se essa non ha lume da un altro simil colore.

Nessuna cosa dimostrerà mai il suo proprio colore se il lume che l'illumina non è in tutto d'esso colore. Quello che è qui detto si manifesta ne' colori de' panni, de' quali le pieghe illuminate, che riflettono o danno lume alle contrapposte pieghe, gli fanno dimostrare il loro vero colore. Il medesimo fanno le foglie dell'oro nel dar lume l'una all'altra, ed il contrariò fa da pigliar lume da un altro colore.

200. De' colori che si dimostrano variare dal loro essere mediante i paragoni de' loro campi.

Nessun termine di colore uniforme si dimostrerà essere eguale se non termina in campo di colore simile ad esso. Questo si vede manifesto quando il nero termina col bianco e il bianco col nero, che ciascun colore pare piú nobile ne' confini del suo contrario che non parrà nel suo mezzo.

201. Della mutazione de' colori trasparenti dati o misti sopra diversi colori con la loro diversa relazione.

Quando un colore trasparente è sopra un altro colore variato da quello, si compone un color misto diverso da ciascuno de' semplici che lo compongono.
Questo si vede nel fumo che esce dal camino, il quale quando è a riscontro al nero d'esso camino si fa azzurro, e quando s'innalza a riscontro dell'azzurro dell'aria pare berettino o rosseggiante.
E cosí il paonazzo dato sopra l'azzurro si fa di color di viola; e quando l'azzurro sarà dato sopra il giallo, egli si farà verde; ed il croco sopra il bianco fa giallo; ed il chiaro sopra l'oscurità fa azzurro, tanto piú bello, quanto il chiaro e l'oscuro saranno piú eccellenti.


202. Qual parte di un medesimo colore si dimostra piú bella in pittura.

Qui è da notare qual parte d'un medesimo colore si mostra piú bella in pittura, o quella che ha il lustro, o quella che ha il lume, o quella delle ombre mezzane, o quella delle oscure, ovvero in trasparenza.
Qui bisogna intendere che colore è quello che si dimanda, perché diversi colori hanno le loro bellezze in diversa parte di se medesimi; e questo ci mostra il nero con aver la bellezza nelle ombre, il bianco nel lume, l'azzurro verde e tané nelle ombre mezzane, il giallo e rosso ne' lumi, l'oro ne' riflessi e la lacca nelle ombre mezzane.

203. Come ogni colore che non lustra è piú bello nelle sue parti luminose che nelle ombrose.

Ogni colore è piú bello nella sua parte illuminata che nell'ombrosa; e questo nasce, che il lume vivifica e dà vera notizia della qualità de' colori, e l'ombra ammorza ed oscura la medesima bellezza, ed impedisce la notizia d'esso colore; e se per il contrario il nero è piú bello nelle ombre che ne' lumi, si risponde che il nero non è colore, né anco il bianco.

204. Dell'evidenza de' colori.

Quella cosa che è piú chiara piú apparisce di lontano, e la piú oscura fa il contrario.

205. Qual parte del colore ragionevolmente deve esser piú bella.


Se a sarà il lume, b sarà l'illuminato per linea da esso lume; c, che non può vedere esso lume, vede solo la parte illuminata, la qual parte diciamo che sia rossa; essendo cosí, il lume che si genera alla parte somiglierà alla sua cagione, e tingerà in rosso la faccia c; e se c sarà ancora esso rosso, vedrai essere molto piú bello che b; e se c fosse giallo, vedrai crearsi un color cangiante infra giallo e rosso.

206. Come il bello del colore dev'essere ne' lumi.

Se noi vediamo la qualità de' colori esser conosciuta mediante il lume, è da giudicare che, dove è piú lume, quivi si vegga piú la vera qualità del colore illuminato, e dove è piú tenebre, il colore tingersi nel colore d'esse tenebre. Adunque tu, pittore, ricordati di mostrare la verità de' colori sulle parti illuminate.

207. Del color verde fatto dalla ruggine di rame.

Del verde fatto dal rame, ancoraché tal colore sia messo a olio, se ne va in fumo la bellezza, s'esso non è subito inverniciato; e non solamente se ne va in fumo, ma s'esso sarà lavato con la spugna bagnata di semplice acqua comune, si leverà dalla tavola dove è dipinto, e massimamente se il tempo sarà umido; e questo nasce perché tal verderame è fatto per forza di sale, il qual sale con facilità si risolve ne' tempi piovosi, e massimamente essendo bagnato e lavato con la predetta spugna.

208. Aumentazione di bellezza nel verderame.

Se sarà misto col verderame l'aloe camellino, esso verderame acquisterà gran bellezza, e piú ne acquisterebbe col zafferano, se non se ne andasse in fumo. E di questo aloe camellino si conosce la bontà quando esso si scioglie nell'acquavite, essendo calda, che meglio lo scioglie che quando essa è fredda. E se tu avessi finito un'opera con esso verde semplice, e poi la velassi sottilmente con esso aloe sciolto in acqua, allora essa opera si farebbe di bellissimo colore: ed ancora esso aloe si può macinare a olio per sé, ed ancora insieme col verderame, e con ogni altro colore che ti piacesse.

209. Della mistione de' colori l'uno con l'altro, la qual mistione si estende verso l'infinito.

Ancoraché la mistione de' colori l'uno con l'altro si estenda verso l'infinito, non resterò per questo che io non ne faccia un poco di discorso.
Ponendo prima alquanti colori semplici, con ciascuno di quelli mescolerò ciascuno degli altri a uno a uno, e poi a due a due ed a tre a tre, cosí seguitando insino all'intero numero di tutti i colori.
Poi ricomincierò a mischiare i colori a due con due ed a tre con due, e poi a quattro, cosí seguitando insino al fine, sopra essi primi due colori.
E poi ne metterò tre, e con essi tre accompagnerò altri tre, e poi sei, e cosí seguiterò tal mistione in tutte le proporzioni.
Colori semplici domando quelli che non sono composti, né si possono comporre per via di mistione d'altri colori.
Nero, bianco, benché questi non sono messi fra' colori, perché l'uno è tenebre, l'altro è luce, cioè l'uno è privazione e l'altro è generativo, io non li voglio per questo lasciare indietro, perché in pittura sono i principali, conciossiaché la pittura sia composta d'ombre e di lumi, cioè di chiaro e oscuro.
Dopo il nero e il bianco seguita l'azzurro e il giallo, poi il verde e il leonino, cioè tané, o vuoi dire ocra; dipoi il morello ed il rosso; e questi sono otto colori, e piú non ve n'è in natura, de' quali io comincio le mistioni; e sia primo nero e bianco; di poi nero e giallo, e nero e rosso; di poi giallo e nero, e giallo e rosso; e perché qui mi manca carta, lascierò a fare tal distinzione nella mia opera con lungo processo; il quale sarà di grande utilità, anzi necessarissimo; e questa tal descrizione s'intermetterà infra la teorica e la pratica della pittura.

210. Della superficie d'ogni corpo ombroso.

La superficie d'ogni corpo ombroso partecipa del colore del suo obietto. Questo dimostrano i corpi ombrosi con certezza, conciossiaché nessuno de' predetti corpi mostra la sua figura o colore, se il mezzo interposto fra il corpo ed il luminoso non è illuminato.
Diremo dunque che il corpo opaco sia giallo, ed il luminoso sia azzurro; dico che la parte illuminata sarà verde, il qual verde si compone di giallo e d'azzurro.

211. Qual è la superficie piú ricettiva di colori.

Il bianco è piú ricettivo di qualunque colore che nessun'altra superficie di qualunque corpo che non è specchiato.
Provasi dicendo che ogni corpo vacuo è capace di ricevere quello che non possono ricevere i corpi che non sono vacui; diremo per questo che il bianco è vacuo, o vuoi dire privo di qualunque colore; essendo esso illuminato dal colore di qualunque luminoso, partecipa piú d'esso luminoso che non farebbe il nero, il quale è ad uso di vaso rotto, che è privo d'ogni capacità di qualunque cosa.

212. Qual parte del corpo si tingerà piú del colore del suo obietto.

La superficie d'ogni corpo parteciperà piú intensamente del colore di quell'obietto, il quale gli sarà piú vicino.
Questo accade perché l'obietto vicino occupa piú moltitudine di varietà di specie, la quale, venendo ad essa superficie de' corpi, corromperebbe la superficie di tale obietto, il che non farebbe se tal colore fosse remoto: ed occupando tale specie, esso colore dimostra piú integralmente la sua natura in esso corpo opaco.

213. Qual parte della superficie de' corpi si dimostrerà di piú bel colore.

La superficie di quell'opaco si dimostrerà di piú perfetto colore, la quale avrà per vicino obietto un colore simile al suo.

214. Delle incarnazioni de' volti.

Quel colore de' corpi piú si conserva in lunga distanza che sarà di maggior quantità.
Questa proposizione ci mostra che il viso si faccia oscuro nelle distanze, perché l'ombra è la maggior parte che abbia il volto, ed i lumi sono minimi, e però mancano in breve distanza: e minimissimi sono i loro lustri, e questa è la causa che, restando la parte piú oscura, il viso si faccia o si dimostri oscuro; e tanto piú parrà trarre il nero, quanto tal viso avrà in dosso o in testa cosa piú bianca.

215. Modo per ritrarre di rilievo e preparare la carta per questo.

I pittori, per ritrarre le cose di rilievo, debbono tingere le superficie delle carte di mezzana oscurità e poi dare le ombre piú oscure, ed in ultimo i lumi principali in piccol luogo, i quali son quelli che in piccola distanza sono i primi che si perdono all'occhio.

216. Della varietà di un medesimo colore in varie distanze dall'occhio.

Infra i colori della medesima natura, quello manco si varia che meno si rimuove dall'occhio.
Provasi, perché l'aria che s'interpone infra l'occhio e la cosa veduta occupa alquanto la detta cosa: e se l'aria interposta sarà di gran somma, allora la cosa veduta si tingerà forte del colore di tal aria, e se tale aria sarà di sottile quantità, allora l'obietto sarà poco impedito.